L’annuncio lo ha dato Andrónico Rodríguez, il giovane vicepresidente dei cocaleros del Trópico de Cochabamba appena eletto senatore: l’ex presidente Evo Morales farà ritorno in Bolivia il 9 novembre, il giorno successivo all’insediamento di Luis Arce alla guida del paese.

È lecito supporre, quindi, che, benché sia stato anche lui invitato alla cerimonia, non si sia ritenuto opportuno – non si sa se per decisione sua, del Mas o di entrambi – che vi prenda parte: forse per non rubare la scena al neoeletto presidente o, magari, per non farsela rubare, con il rischio così di far passare in secondo piano la festa per il suo rientro.

Come ha spiegato Andrónico Rodríguez, l’ex presidente, che non ha mai nascosto il desiderio di rientrare in Bolivia il prima possibile, visiterà l’11 novembre il Trópico de Cochabamba, la sua roccaforte: nello stesso giorno, cioè, in cui l’anno scorso era stato costretto ad abbandonare il paese per non essere catturato. Nessuno gli ha mai rimproverato di essere fuggito in Argentina e poi in Messico, mentre la nave affondava, senza più lui al comando, tra repressione e massacri.

Ma è evidente come alcune sue decisioni politiche imposte dall’esilio non siano risultate gradite alla base. Né sono mancate in questi mesi frasi anche dure nei suoi confronti da parte di esponenti del Mas, come la secche parole pronunciate dal presidente della CameraSergio Choque rispetto alla convinzione di Morales che il popolo stesse piangendo a causa della sua lontananza: «Io non sto piangendo e non vedo nessuno piangere».

Per non parlare dello scarso entusiasmo mostrato da alcuni vertici del Mas rispetto al suo ritorno in Bolivia, reso possibile dall’annullamento, da parte del tribunale dipartimentale di giustizia di La Paz, dell’ordine di arresto che era stato emesso nei suoi confronti per i presunti reati di sedizione e terrorismo.

E questo mentre l’Assemblea legislativa sollecitava l’avvio di un procedimento penale a carico di Jeanine Áñez, dell’uomo forte del suo governo Arturo Murillo e di altri ministri in relazione ai massacri di Sacaba e Senkata.Stando alle parole di Arce, l’ex presidente non riceverà alcun incarico di governo, né avrà alcun seggio al Congresso, non avendo potuto candidarsi, per decisione del Tribunale supremo elettorale. Ma si suppone che non rinuncerà facilmente a esercitare un controllo sul partito.