La decisione era nell’aria, ma la sua esclusione dalle elezioni generali del prossimo 3 maggio rappresenta per Evo Morales un altro duro colpo.

Il Tribunale supremo elettorale, i cui nuovi membri sono stati eletti congiuntamente dal governo golpista di Añez e dal Movimiento al socialismo, lo ha reso noto giovedì, motivando la bocciatura della sua candidatura e di quella dell’ex ministro degli Esteri Diego Pary (per i seggi al Senato nelle rispettive circoscrizioni di Cochabamba e Potosí) con il mancato adempimento del «requisito della residenza permanente». Argomento usato anche, in una sorta di par condicio, contro l’ex governatore di Tarija Mario Cosso, rimosso da Morales nel 2010 e da allora rifugiatosi in Paraguay.

Via libera invece al candidato del Mas alla presidenza Luis Arce Catacora, come pure al candidato a vice David Choquehuanca. Che la missione di Morales, in esilio da più di tre mesi, fosse tutta in salita era risultato chiaro già al momento della sua iscrizione nell’elenco preliminare dei candidati: la polizia aveva proceduto ad arrestare la sua legale Patricia Hermosa, a cui l’ex presidente aveva affidato le pratiche, subito sequestrate, per la presentazione della sua candidatura.

Un arresto motivato da un’accusa diventata quasi un mantra nella Bolivia in mano ai golpisti: «sedizione e terrorismo», la stessa per cui è indagato anche Morales. E anche se alla fine l’iscrizione era avvenuta, con il suo nome in cima alla lista degli aspiranti al Senato a Cochabamba, seguito da quello della sindaca di Vinto Patricia Arce e dal giovane e popolare leader dei cocaleros Andronico Rodriguez, era apparso subito improbabile che la sua candidatura venisse accolta dal Tribunale supremo elettorale.

Contro di essa era stata subito presentata una pioggia di ricorsi, sulla base dell’articolo 149 della Costituzione che prevede il requisito della residenza permanente nella rispettiva circoscrizione per un periodo minimo di due anni precedenti alle elezioni.

Una condizione che, a giudizio dei suoi legali, risulterebbe in realtà già soddisfatta dalla regolare iscrizione di Morales alle liste elettorali del collegio di residenza, cioè a Cochabamba, negli ultimi due anni. Senza contare che, secondo il Mas, la sua condizione di esiliato, in quanto forzata, non avrebbe dovuto pesare nella valutazione del Tse.

«La decisione del Tribunale supremo elettorale è un golpe contro la democrazia – ha commentato Morales, annunciando ricorso presso istanze nazionali e internazionali – I membri del Tse sanno che ho tutti i requisiti per essere candidato. L’obiettivo finale è la proscrizione del Mas».

Una buona notizia giunge tuttavia dai dati dell’ultimo sondaggio: malgrado la persecuzione giudiziaria e mediatica a cui è sistematicamente sottoposto, e che complica notevolmente la campagna elettorale di non pochi candidati, il Mas vincerebbe con ampio margine le elezioni del 3 maggio, confermandosi come prima forza politica del paese con il 31,6 % delle preferenze, contro il 17,1% della Comunidad Ciudadana di Carlos Mesa e il 16,5% di Juntos dell’autoproclamata presidente Jeanine Añez, nel cui governo iniziano nel frattempo a emergere scandali di corruzione.

I dati hanno talmente allarmato il leader civico Luis Fernando Camacho da indurlo a mettere a disposizione la sua candidatura presidenziale – sacrificio non proprio eroico, considerando il modesto 9,6% che gli attribuisce il sondaggio – come «passo estremo» per convincere tutti i leader della destra ad appoggiare «una sola candidatura» in funzione anti-Mas.