«No al muro. No all’espulsione dei migranti. Sì alla cittadinanza universale. #InmigrantesSomosTodos (sic)». Così si è espresso in Twitter il presidente boliviano Evo Morales a proposito delle misure xenofobe annunciate da Donald Trump. «Qualunque ingiustizia contro un migrante in qualunque luogo della terra, è un’ingiustizia contro l’umanità – ha aggiunto – siamo cittadini del mondo. Gli immigrati non sono responsabili se l’1% della popolazione possiede oltre il 50% della ricchezza degli Stati uniti. Il problema è la disuguaglianza».

Bolivia e Usa non hanno più relazioni diplomatiche dal 2008, quando Morales espulse il rappresentante statunitense di allora, Philip Goldberg, accusandolo di essere implicato nei piani per destabilizzare il paese. Un’attitudine analoga ha adottato anche il Venezuela e per identiche ragioni, e anche il presidente ecuadoriano Rafael Correa ha chiuso le basi Usa e di recente ha annunciato: «potranno riaprirle da noi quando noi potremo istallare negli Usa una base militare ecuadoriana». Fra alterne vicende, i governi latinoamericani che si richiamano al socialismo del XXI secolo hanno cercato di ripristinare con Obama «relazioni alla pari», ma senza grandi risultati.

Dopo l’elezione di Trump, il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha parlato a lungo con John Kerry, il cui inviato Thomas Shannon si è recato di recente a Caracas per mettere un po’ di museruola alla parte più virulenta dell’opposizione venezuelana, riuscendoci solo in parte. Intanto, però, grazie alla mediazione del Vaticano (il papa Bergoglio ha ricevuto di recente Maduro), stanno sensibilmente diminuendo le file e ricompaiono i prodotti accaparrati dalle grandi imprese private che vogliono dettare l’agenda politica.

Nei punti sottoscritti al tavolo del dialogo in corso, l’opposizione moderata ha messo nero su bianco che la guerra economica esiste e che occorre rispettare l’istituzionalità del paese. Il governo ha scarcerato alcuni politici detenuti. I militanti del Psuv hanno chiesto a Trump di non espellere i migranti, ma di rimandare a Caracas i banchieri fraudolenti e i golpisti rifugiati a Miami. Maduro, appoggiato da un appello sottoscritto da migliaia di personalità politiche, artisti e intellettuali, ha chiesto a Obama di annullare il decreto di sanzioni contro il Venezuela, rinnovato per un altro anno. Di recente, il Psuv ha nuovamente denunciato il «sabotaggio finanziario» di Citibank che, negando i propri servizi a Caracas, ha impedito che il governo pagasse a tempo i prodotti importati dall’estero. E così, 29 navi cariche di alimenti sono rimaste ferme nei porti per 68 giorni.

Nell’appello, si chiede a Obama di metter fine al bloqueo contro Cuba e di liberare due prigionieri storici: l’indipendentista portoricano Oscar Lopez e la statunitense Ana Belén, arrestata nel 2001 con l’accusa di aver «cospirato» a favore di Cuba.