Niente di meglio dell’appoggio papale per ammorbidire il filo spinato tra le due Coree. Così il presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in, durante la visita al Vaticano di ieri mattina, ha fatto dell’incontro con Papa Francesco l’ennesima occasione per cercare di portare avanti il suo progetto di riconciliazione nella penisola coreana, chiedendo al pontefice di visitare la Corea del Nord nel caso si presentasse l’opportunità.

Durante i 25 minuti di udienza nella Biblioteca privata del Palazzo Apostolico, Moon avrebbe definito un’eventuale visita del Papa in Corea del Nord come «uno slancio per la pace nella penisola coreana» sulla quale i cittadini della Corea del Sud hanno «grandi aspettative». Responso positivo dal pontefice, secondo quanto riportato dal portavoce presidenziale Park Kyung-mee, che ha riferito che Papa Bergoglio si è detto «disposto ad andare là per promuovere la pace e per aiutare tutti voi». Una sola condizione: il primo passo deve arrivare da Pyongyang tramite un invito ufficiale.

Ancora parole ma nessuna promessa, così come accaduto nel 2018 quando Moon si era fatto portavoce di un invito verbale del leader nordcoreano, Kim Jong-un. Anche in quell’occasione, Papa Francesco aveva risposto che avrebbe preso in considerazione l’eventualità di un viaggio in Corea del Nord solo a fronte di un invito formale. Un invito che non è mai arrivato, complice la rottura tra il regime di Kim e gli Stati Uniti dopo il summit di Hanoi nel 2019 e le conseguenti tensioni nei rapporti diplomatici con la Corea del Sud, culminate nella decisione di Pyongyang di far saltare in aria l’ufficio di collegamento di Kaesong nella primavera del 2020.

Se la Santa Sede ha posto l’accento sullo scambio di vedute tra i due leader in materia di lotta alla povertà, emergenza climatica e impegno umanitario, dalla parte sudcoreana l’intento di richiesta di un appoggio diplomatico che favorisca le relazioni bilaterali con la Corea del Nord è stato chiaro fin dallo scambio dei doni, con Moon ha consegnato a Bergoglio una croce fatta col filo spinato della zona demilitarizzata al confine tra le due Coree. In allegato un biglietto in spagnolo: «Prego con devozione che questa croce metta radici profonde e che da esse fiorisca la pace».

Un messaggio di pace, e un ultimo tentativo da parte di Moon Jae-in di chiedere supporto nel raggiungimento del «nuovo ordine di pace e prosperità» che normalizzi le relazioni inter-coreane prima di lasciare la Casa Blu in seguito alle elezioni del prossimo marzo alle quali non si potrà ricandidare. Indirizzata verso questo sforzo è anche la proposta avanzata da Moon negli scorsi mesi di una dichiarazione congiunta simbolica della fine della Guerra di Corea. Ma Pyongyang avrebbe posto la condizione di sospendere le esercitazioni congiunte con gli Stati Uniti, opzione ritenuta «impraticabile» dall’intelligence sudcoreana.

I democratici di Seul puntano ora sull’intercessione papale per riavviare l’anelato dialogo, elezioni di marzo permettendo. L’eventuale cambio della guardia alla Casa Blu cambierebbe lo scenario.