«Un film d’avventura ottuso e tetro mischiato a un seminario sull’apprezzamento dell’arte», «onesto e pieno di buone intenzioni ma essenzialmente inerte», «battaglioni di stereotipi e caricatori di clichè»….. Nonostante la robusta campagna promozionale e l’ubiquità mediatica di George Clooney nelle settimane che hanno preceduto l’uscita del suo ultimo film, il verdetto della critica Usa nei confronti di Monuments Men è stato quasi unanimamente negativo.

Persino quelli a cui è piaciuto di più, come il critico del settimanale «New York» David Edelstein, non si sono trattenuti dalla frecciatine. «Avrebbe dovuto intitolarsi La dozzina di buon gusto», ha scritto Edelstein evocando il capolavoro di Robert Aldrich Quella sporca dozzina, (1967), in cui le forze alleate affidano a un manipolo di galeotti guidati da Lee Marvin la missione suicida di decimare lo stato maggiore dell’esercito nazista riunito in un castello francese. L’accusa principale che la critica americana rivolge al film non è, come si potrebbe pensare, quella di essere elitario, un predicozzo «liberal» (come aveva scritto qualcuno di Good Night and Good Luck) o troppo dark (come alcuni avevano trovato Le idi di Marzo), ma esattamente l’opposto. Dull, ovvero opaco, spento, è uno degli aggettivi che più ricorrono nelle recensioni che paragonano negativamente questa ultime regia di Clooney (scritta con il suo collaboratore di sempre Grant Henslow) politicamente e dal punto di vista drammatico, a più graffianti film sulla guerra in cui è stato cojnvolto in passato, come Syriana e Three Kings. La memoria dell’insuperabile sporca dozzina di Aldrich (che pesava molto anche su Unglorious Basterds di Tarantino) pesa su Monuments, ma non è la sola.

Quello del film avventuroso sullo sfondo della seconda guerra mondiale è un genere classico degli anni sessanta, a cui Monuments chiaramente si è ispirato, e che ha prodotto titoli (oltre a kolossal direttamente dal fronte come Il grande uno rosso di Sam Fuller) anche, tra gli altri, I Cannoni di Navarone (1961), Dove osano le aquile (1968), Kelly’s Heroes (1970) e soprattutto Il treno (1964), di John Frankenhemier, in cui la resistenza comandata da Burt Lancaster deve fermare un treno carico d’arte francese diretto in Germania. Nessuno di quei titoli tocca le vette di Aldrich (e Fuller). Spesso si trattava di coproduzioni polpettone, ma erano divertenti, piene di star e di esplosivo. Anche con quei polpettoni, dicono da qui, Monuments non regge il confronto.