Dopo i pm milanesi Baggio e Ciavardi, anche il capo della vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo, conferma che a travolgere il Monte dei Paschi è stata anche una crisi di sistema, una «tempesta perfetta» che ha amplificato i problemi di una banca fin troppo generosa nell’erogare credito (ma dovrebbe essere il suo mestiere, ndr), visti i 160 miliardi di picco nel biennio 2009-10. Mal gestita, vista la quantità doppia di titolo del Tesoro rispetto alle concorrenti. E scorretta nel cercare di nascondere lo sporco sotto il tappeto, con operazioni finanziarie come il Fresh 2008 («Non solo falsificavano i contratti ma facevano anche dichiarare il falso al collegio sindacale e al responsabile della compliance»), e i derivati Santorini e Alexandria, quelli nascosti in cassaforte.

Risultato: «Gli effetti della congiuntura – annota Barbagallo di fronte alla commissione di inchiesta sulle banche – e in generale del contesto esterno sul bilancio della banca, di per sé già profondi, sono stati amplificati dai comportamenti gravi e fraudolenti posti in essere sin dal 2008 dai vertici di allora. Tali comportamenti sono oggi al vaglio del giudice penale».

Nell’audizione di Barbagallo emergono anche particolari utili a smontare narrazioni farlocche. «Dalla seconda metà del 2008 cominciano a manifestarsi gli effetti della crisi, e tra il 2008 e il 2011 la Banca d’Italia conduce dieci ispezioni presso Mps, tre delle quali sui rischi di credito, e due sui rischi finanziari». Al tempo stesso, in quegli anni, Giuseppe Mussari viene premiato come «banchiere dell’anno» per Antonveneta (2008), e che i banchieri italiani riuniti nell’Abi lo eleggono alla presidenza nel 2008, e lo confermano nel 2010.

Proprio su Antonveneta la vigilanza spiega che l’acquisto da parte di Mps era a portata dell’istituto senese riguardo ai suoi obiettivi patrimoniali, e che la «due diligence» non era, e non sarebbe nemmeno oggi, richiesta. Inoltre, sull’autorizzazione data, Barbagallo ha risposto che nell’ispezione del 2006 sulla banca padovana si diceva che l’istituto «ha superato la situazione del passato, ha un buon patrimonio e una serie di problemi che, in quel quadro, da soli non riesce a risolvere, ma possono avere soluzione diversa in un grande gruppo. L’idea che mi sono fatto leggendo le carte era che il gruppo ce la poteva fare, positiva. Poi arriva la tempesta perfetta, e le irregolarità dei vertici». E comunque i vertici Mps andarono a fine 2007 presso Antonveneta «per verificare la situazione: se avessero trovato problemi rivelanti avrebbero potuto tornare indietro».

Capitolo sofferenze: «I rischi finanziari hanno messo in grave difficoltà Mps; alla lunga, è stato però il rischio di credito che ne ha minato più in profondità l’equilibrio economico-patrimoniale. I npl hanno generato perdite nell’ultimo decennio per circa 26 miliardi». Quanto ai debitori, al di là del Casini renzianizzato («Ho chiesto l’elenco dei 100 grandi debitori, arriva in commissione domattina»), i numeri di Bankitalia dicono che alla fine del 2016 i npl di Mps «erano ripartiti tra quasi 190 mila debitori, lungo tutto il territorio nazionale; per l’84% riguardano imprese, in larga parte medio-piccole. Coloro che hanno ricevuto prestiti superiori a 25 milioni sono 107 e rappresentano il 12,7% del credito deteriorato totale».

Detto infine che la Fondazione Mps «ha inteso mantenere a lungo, anche quando non ce ne erano più le condizioni, una posizione di dominio, erodendo il proprio patrimonio e indebitandosi», un’ultima annotazione: «I cosiddetti Monti Bond, sono stati integralmente rimborsati da Mps, e hanno portato nelle casse pubbliche 900 milioni di euro».