Dietro le dichiarazioni obbligate e le strette di mano come quella di ieri tra Salvini e Di Maio, la sirena d’allarme suona a distesa nel quartier generale dei 5 Stelle dopo le amministrative. I 5S capiscono di doversi muovere per recuperare il terreno perduto in termini di visibilità e lo fanno partendo dal loro eterno “pezzo forte”: l’abolizione dei vitalizi per i parlamentari. Dal punto di vista economico è robetta, ma Di Maio punta a rendere i proventi in termini di propaganda ben più cospicui.

Stamattina il presidente della camera Roberto Fico porterà in Ufficio di presidenza la delibera che interviene non sui vitalizi dei parlamentari in carica o di quelli dell’ultima legislatura, già passati dal sistema contributivo a quello retributivo nel 2012, ma su quelli dei parlamentari delle legislature precedenti. Lui stesso fa comunicare via tweet la lieta novella, aggiungendo che M5S «continuerà a lavorare per il superamento dei privilegi con tre obiettivi: taglio dei costi, trasparenza e partecipazione». Luigi Di Maio applaude rumorosamente: «Domani finalmente iniziamo a togliere un privilegio insopportabile». Il ministro Riccardo Fraccaro non disdegna l’iperbole: «Abbiamo vinto la nostra battaglia in nome di tutti i cittadini. Stiamo ottenendo un risultato che farà la storia: l’era dei privilegi è finita». Quando si dice il senso della misura…

In realtà la portata del provvedimento è decisamente modesta, anche senza tener conto del fondato dubbio sul semaforo verde della Corte costituzionale su una misura di carattere retroattivo. I tecnici di Montecitorio hanno lavorato in larga misura senza disporre di tabelle precise per rivalutare i vitalizi sulla base del sistema contributivo: fino al 1996 infatti mancano precedenti validi. Grazie a una serie di simulazioni sono arrivati a indicare il taglio che verrà proposto stamattina da Fico: un numero molto ristretto di vitalizi, poco più di dieci, verrebbe decurtato di oltre il 50%, una metà circa si aggirerebbe tra il 20 e il 50%, alcuni trattamenti, un centinaio, potrebbero al contrario dover essere aumentati. Nel complesso il risparmio si aggirerebbe sul 20% della spesa totale: da 87 milioni a circa 70.

Verranno inoltre modificate le norme sulla sospensione degli assegni per gli ex parlamentari condannati. Prima di tutto verrà ampliato il novero dei reati che comportano la cessazione dell’erogazione, poi verrà portato dall’attuale massimo di 6 anni a 4 il tetto entro cui scatta la sospensione. Infine saranno drasticamente ridotti i margini di discrezionalità lasciati all’ufficio di presidenza per decidere sulla sospensione.

Nel complesso si tratta di un passo di carattere quasi esclusivamente simbolico. Può tamponare l’emorragia di visibilità ma non fermarla. Per questo serve qualcosa di più corposo, e Di Maio assicura infatti di star «lavorando giorno e notte per il reddito di cittadinanza entro il 2018» ma anche per quel «decreto dignità« che tuttavia, a fronte dei ricatti delle multinazionali a partire da Foodora, rischia di essere in buona misura disinnescato in partenza.

Ma la competizione, a livello di governo se non di maggioranza, inizia a delinearsi anche nella principale campagna leghista, l’immigrazione. Il colloquio segreto tra il premier Conte e il presidente Macron che ha sbloccato la situazione della Lifeline, come la settimana scorsa la telefonata di Angela Merkel a Conte, dimostra che i leader del fronte moderato europeo puntano a rafforzare, grazie allo loro stessa legittimazione, Giuseppe Conte. Con un obiettivo chiaro e che non dispiacerebbe neppure ai vertici dei 5S: ridimensionare drasticamente Salvini.