L’aumento di capitale da tre miliardi di euro si farà. Ma solo alla fine del secondo trimestre 2014. In tempo, comunque, per il pagamento della cedola per interessi sui Monti Bond in scadenza il primo luglio. L’assemblea straordinaria del Monte dei Paschi, che fino a quella data sarà ancora di Siena, promuove la strategia d’azione di Antonella Mansi e boccia quella di Alessandro Profumo. Il sindaco Valentini prova a gettare acqua sul fuoco: “Non è stata una battaglia tra due persone”. Ma fra la presidente della Fondazione Mps, espressione degli enti locali e primo azionista della banca con il 33,4%, e il banchiere che da due anni è al posto di comando in Rocca Salimbeni, c’è stato un solo punto di contatto: “Sono d’accordo – ha detto Mansi al termine dell’assemblea – sul fatto che su eventuali dimissioni si deve riflettere con attenzione, all’interno dell’organo deputato”. Nel consiglio di amministrazione di gennaio. Anche se tutto lascia pensare che la stagione di Profumo a Siena sia al tramonto.

Un’altra osservazione del sindaco Valentini è stata smentita.”La cosa più importante – aveva detto alla vigilia dell’annunciata decisione dell’assemblea – è che domani nessuno stappi lo spumante”. Nonostante gli applausi che i piccoli azionisti hanno riservato a Mansi, con aspre critiche sulla gestione della banca, non c’è molto da festeggiare a Siena. Il rinvio assicura un po’ di respiro alla Fondazione, che sarebbe stata polverizzata se avesse dato l’ok a un aumento a gennaio. Al tempo stesso le linee guida esposte da Mansi, quelle di un “equilibrato e graduale processo di dismissione” della quota della Fondazione, non lasciano troppe speranze ai sostenitori di una possibile terza via. Quella legata all’entrata del Tesoro nel capitale della banca. Anche solo con la piccola quota derivante dal mancato pagamento dei circa 150 milioni di interessi dei Monti Bond in scadenza a luglio.

A dar voce in assemblea a questa terza ipotesi, sostenuta da Sinistra per Siena e da Sel, è stato un socio storico del Monte come Pier Paolo Fiorenzoni: “L’azionariato di Stato, o tout court la nazionalizzazione, darebbero garanzie di ascolto istituzionale e di possibili intese sull’occupazione, in vista di una possibile ripresa e sviluppo della banca. E sarebbe sempre meglio che finire in bocca a qualche pescecane”. Chiaro il riferimento al “consorzio di garanzia” che era già disposto a sottoscrivere i 3 miliardi di aumento a gennaio: Ubs, Commerzbank, Citigroup, Société Générale, Merrill Lynch, Morgan Stanley, Barclays, Jp Morgan, Santander e Mediobanca. I padroni della finanza mondiale.

Anche se definita solo “uno spauracchio” dai piccoli azionisti, di fronte alla possibilità di una nazionalizzazione Mansi ha comunque avuto parole chiare: “La Fondazione e gli azionisti subirebbero danni irreparabili. Ma si potrebbe verificare solo su richiesta degli amministratori, che vi sarebbero costretti comunque non prima degli inizi del 2015, verificata l’impossibilità di effettuare l’aumento di capitale, o anche prima se risultasse compromesso l’equilibrio economico. Ipotesi che ad oggi, viste le informazioni date al mercato, non sembra essere prevedibile”.

Nitida anche la fotografia dei rapporti con la Ue sui Monti Bond: “L’indicazione temporale prevede che l’aumento di capitale si chiuda entro il 2014”. Mentre sui recenti saliscendi del titolo in borsa, la diagnosi è presto detta: “La speculazione c’è stata. Per questo la Fondazione ha richiesto più volte l’intervento della Consob”. Quanto al parere del giurista Pier Gaetano Marchetti, presentato da Profumo su un possibile conflitto di interessi, la risposta di Mansi equivale alla restituzione di uno schiaffo: “Per noi la tutela dell’integrità del patrimonio della Fondazione non è un optional. E non potete chiederci di far crollare proprio noi l’edifico che ci è stato dato dalla legge”. Sull’altro fronte, gli argomenti di Profumo sono stati quelli di un costo aggiuntivo di 120 milioni “che andrà sulle spalle degli azionisti”, e del timore di non ricostituire un consorzio di garanzia in estate: “ A gennaio si parte per primi, poi arriverà l’asset quality review della Bce e gli stress test dell’Eba, così altre banche potrebbero bussare al mercato dei capitali”.

I numeri dell’assemblea – presente il 49,3% del capitale, 69% di no al piano di Profumo e Viola, 82% di sì al percorso tracciato dalla Fondazione – sono stati inequivocabili. Così come i commenti finali di Mansi: “Oggi abbiamo risposto su quella che era la vera incertezza per i mercati: l’aumento di capitale si farà”. Quanto alle possibili dimissioni di Profumo (e Viola): “Non le abbiamo mai chieste. Ma c’era la necessità dell’ente di badare alla propria sopravvivenza. Una nostra precisa responsabilità E’ incredibile pensare che non ci siamo confrontati prima. Ma le mediazioni si possono trovare o no, perché a volte ci sono interessi legittimamente inconciliabili”. Ancora più tranchant i piccoli azionisti: “Con questo management abbiamo visto solo segni meno, salvo che per i tagli del personale”. E a ruota: “Dal 2012 ad oggi, il valore di borsa di Mps ha perso 700 milioni, mentre il valore delle altre banche è salito”. Ma questo perché il Monte dei Paschi resta un malato grave. Per la scarsa patrimonializzazione, per un ritorno all’utile previsto solo nel 2015, per i crediti deteriorati (20 miliardi su 135 complessivi), e per una gestione ordinaria ancora tutta da rilanciare.