Il rapporto con il noir di Andrea Camilleri è sempre di curiosità, internità, ma anche di distanza, di autonomia dalla diverse tendenze che hanno segnato la breve e pur intensa parabola del noir mediterraneo. Chiama il suo personaggio Montalbano in omaggio al suo amico, lo scrittore comunista atipico Manuel Vázquez Montalbán, inventore dell’investigatore Pepe Carvalho.

Nei romanzi dedicati al commissario più conosciuto d’Italia – uno dei pochi poliziotti che ha una libreria dove campeggiano volumi ampiamente sottolineati o con le orecchiette per segnare brani o poesie amate – sono frequenti le citazioni di scrittori noir marocchini, turchi, algerini famosi nei loro paesi e quasi sconosciuti da noi, a sottolineare la sua lettura onnivora.

Internità e autonomia. Internità al genere, in una ottica decisamente tradizionale, quasi «riformista» rispetto ad altri scrittori che hanno usato il noir come critica radicale dello status quo. C’è uno sbirro buono, come dicono anche i mafiosi suoi nemici ma comunque uomini che rispettano le regole della caccia delle guardie al ladro; c’è la mafia, dato che siamo in Sicilia, ma non la piovra delle fiction televisive. C’è inoltre cronaca nera, ma niente delitti efferati o serial killer.

IL MONTALBANO CARTACEO non è bello, né brutto, è «un tipo» che, con il corso del tempo, ha messo su una pancetta sempre più pronunciata, sfoggia stempiature che progrediscono, facendo scomparire i capelli sale e pepe fino a diventare quasi calvo. Mangia molto e bene; beve con moderazione, passando dal bianco al rosso a seconda degli alimenti, segnalando che anche con il pesce si può pasteggiare con del buon rosso. La sua lotta contro il crimine sta sempre nelle regole del gioco. È un uomo che crede nello Stato, anche se tra la ragion di Stato e lo Stato di diritto preferisce quest’ultimo.

Nella trasposizione televisiva emergono spesso le ferite del nostro paese. I magistrati massacrati dalla mafia, il razzismo quotidiano e istituzionale, l’uso dei migranti per fare profitti, facendoli massacrare di fatica per salari da fame. Denuncia la violazione della legge da parte delle forze di polizia, fino alla riduzione su piccolo schermo di una storia dove irrompe la mattanza della Diaz a Genova 2001.

Dunque, Montalbano è un personaggio a cavallo tra il giallo e un moderato hard boiled (Camilleri ha letto anche il polar francese, da Jean-Claude Izzo a Leo Malet). Ma è in questa internità al noir che si fa strada una autonomia radicale, che innova il genere. La Sicilia di Andrea Camilleri è una terra immaginaria, così come la lingua che usa. I paesi, il panorama sociale è inventato, ma su questo lo scrittore fa un’operazione di verità.

LA SICILIA NON È SOLO MAFIA, ci sono uomini e donne che danno l’anima per modificarla e renderla migliore. I personaggi dei romanzi di Montalbano sono di questo tipo. Individui ordinari, ma lontani dagli stereotipi costruiti nel corso del tempo per stigmatizzare tutto ciò che si muove in quel mondo. Camilleri lavora a decostruire gli stereotipi e, nel fare questo, inventa un siciliano che tutti, da Nord a Sud, possano capire. In questa scelta stilistica c’è innovazione, facendo diventare un dialetto regionale (locale) «lingua» di un’Italia che resiste. Che ancora sa dire di no.