Che il cardinal Bagnasco e monsignor Galantino su parecchie questioni non la pensino proprio allo stesso modo non è una novità. La distanza fra i due – il primo, presidente della Conferenza episcopale italiana nominato la prima volta da papa Ratzinger; il secondo, segretario della Cei scelto da papa Francesco – è emersa nuovamente ieri, in maniera più evidente che nel passato, su un tema altamente sensibile: il ddl Cirinnà sulle unioni civili, in questi giorni all’esame del Senato.

«Ci auguriamo che il dibattito in Parlamento e nelle varie sedi istituzionali sia ampiamente democratico, che tutti possano esprimersi, che le loro obiezioni possano essere considerate e che la libertà di coscienza su temi fondamentali per la vita della società e delle persone sia non solo rispettata ma anche promossa con una votazione a scrutinio segreto», aveva dichiarato giovedì Angelo Bagnasco, forse ricordandosi che – come ammoniva uno slogan democristiano della campagna elettorale del 1948 – «nel segreto della cabina elettorale, Dio ti vede, Stalin no», in realtà sperando così di agevolare il compito di qualche dissidente cattodem, o pentastellato.

«Per rispetto del Parlamento e delle istituzioni preferisco non parlare», ha voluto precisare ieri Nunzio Galantino, marcando così il dissenso dalle affermazioni di Bagnasco – peraltro subito sottoscritte da tutto il centrodestra – e in un certo senso sposando la linea del governo Renzi ( «il regolamento del parlamento prevede il voto segreto, se ci saranno le condizioni Grasso, e non la Cei, deciderà», ha chiarito il premier) e dello stesso presidente del Senato, Piero Grasso: «C’è la libertà di espressione, però sulle procedure penso che ci sia la prerogativa delle istituzioni repubblicane di decidere».

Una divergenza netta, testimoniata dal fatto che sulla questione sia dovuto intervenire anche il portavoce della Cei, don Maffeis, gettando acqua sul fuoco: «È chiaro che in un clima come questo basta poco a far parlare di scontro», ha detto all’Ansa, ma «con le sue parole il cardinal Bagnasco non intendeva entrare in un discorso tecnico in alcun modo, questo appartiene alla sovranità delle Camere», il suo «è stato un appello morale per la libertà di coscienza».

Al di là dei tentativi di attenuare le polemiche e di accorciare le distanze, ad essere divisi non sono solo Bagnasco e Galantino, ma i vescovi italiani. Se tutti sono concordi, con papa Francesco, a dire che «non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione» e a bocciare la stepchild adoption, più di qualcuno ritiene che il riconoscimento delle unioni civili sia un passo quasi inevitabile, a cominciare dallo stesso Galantino, il quale qualche settimana fa ha dichiarato che «lo Stato ha il dovere di dare risposte a tutti, nel rispetto del bene comune». Anche in questo caso una posizione distante – stavolta nel merito – da Bagnasco che ha salutato il Family day come un’iniziativa «condivisibile» e dalle finalità «assolutamente necessarie». Salvo poi, durante il Consiglio permanente della Cei alla vigilia del raduno del Circo Massimo, mantenere un profilo talmente basso da non nominarlo nemmeno, evidentemente per non irritare altri vescovi e papa Francesco che due giorni prima aveva annullato l’udienza con Bagnasco.