Dopo decenni di governance monocolore, si aprono oggi le urne in Tanzania e nell’isola semi-autonoma di Zanzibar per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, il rinnovo del Parlamento e dei funzionari locali. Si tratta del più importante test politico-elettorale per il Paese – uno dei più poveri al mondo – che con i suoi circa 50 milioni di abitanti rimane la nazione più popolosa e la seconda più grande economia dell’Africa orientale.

Al governo sin dall’indipendenza (avvenuta nel 1961 per la Tanzania e nel 1963 per Zanzibar) il Chama Cha Mapinduzi (Ccm) – il partito da più tempo al potere in Africa – si trova ad affrontare una sfida determinante per la stabilità del Paese.

A sfidare il Ccm è una coalizione dei quattro principali partiti di opposizione, l’Ukawa (Umoja wa Katiba ya Wananchi, «Coalizione per la Costituzione del Popolo»). In lizza per la presidenza, i più gettonati tra i sei candidati (tra i quali anche una donna, Anna Mghwira dell’Alliance for Change and Transparency (Act-Wazalendo)) sono da un lato John Magufuli, 55 anni, del Ccm – ministro dei lavori pubblici – ed Edward Lowassa, per anni membro di spicco del partito di governo, ex primo ministro dimessosi nel 2008 perché coinvolto in uno scandalo di corruzione con una compagnia elettrica statunitense nel 2006.ù

Accuse di corruzione che d’altra parte non risparmiano neanche il presidente uscente Jakaya Kikwete, che però ha rispettato il limite dei due mandati sancito dalla costituzione accettando di dimettersi dopo10 anni al potere (fatto tutt’altro che scontato nella maggior parte dei Paesi africani). Tra i due, nonostante a presentarsi come il più onesto sia il candidato del partito al potere John Magufuli – determinato a contrastare un sistema corruttivo che per decenni ha intaccato il governo (promettendo addirittura l’istituzione di un tribunale speciale anticorruzione se eletto) – sembra essere Edward Lowassa il favorito, il “volto nuovo” per rompere con un passato monopartitico durato troppo a lungo.

Per Zanzibar, i candidati sono il presidente uscente Ali Mohammed Shein (Ccm) e Seif Sharif Hamad (Ukawa).

Nonostante a partire dal 1995 con l’introduzione di un sistema pluripartitico, le elezioni si siano sempre svolte in modo pressoché pacifico, non sono in pochi a temere questa volta episodi di violenza probabilmente alimentati dagli stessi timori di brogli elettorali dei partiti dell’opposizione. Circa dieci giorni fa è stato lo stesso presidente Jakaya Kikwete a respingere le accuse di brogli rivolte al Ccm dai partiti di opposizione accusando quest’ultima di un complotto per fomentare disordini a ridosso delle elezioni.

Se le aspettative da parte della popolazione civile sono grandi e richiedono essenzialmente una rotttura con le politiche passate nella gestione delle risorse e della cosa pubblica, d’altro canto non meno importante e ambita appare la posta in gioco per le classi dirigenti che usciranno vittoriose dalle urne. La gente chiede forti cambiamenti, una macchina governativa meno burocratica, l’accesso alle risorse per i più poveri e la lotta a un sistema di corruzione dilagante.

Stando ai dati forniti dalla Banca Mondiale, il reddito annuo pro capite di 930 dollari nel 2014 era al di sotto della media africana sub-sahariana. La Tanzania vanta una crescita economica del 7% l’anno, in gran parte determinata da investimenti statali, ma un tasso di povertà molto alto. Nonostante disponga di enormi riserve di gas naturale, ricchi giacimenti minerari e vaste estensioni di terra coltivabile, il Paese non svolge quel ruolo di potenza regionale a cui potrebbe invece ambire e da cui invece la dividono mezzi di trasporto e un sistema elettrico non adeguati, burocrazia paralizzante e la mancanza di impianti per l’esportazione del gas liquefatto.