Lo squarcio d’azzurro non riguarda il cielo. Il cielo, nella Torino di fine febbraio, veste il grigio per abitudine. Un grigio che si fonde con quello delle facciate dei palazzi, accentuato dal freddo e lucidato da un vento sottile. Lo squarcio d’azzurro non riguarda il cielo, ma un muro ancorato al piazzale tra via Piave e via Carlo Ignazio Giulio. È l’azzurro del mare, da cui emerge la figura di un migrante nel disperato tentativo di non annegare. Occhi sgranati, bocca spalancata, una mano tesa verso l’alto in cerca di qualcuno o qualcosa cui aggrapparsi. Opera di Street Art, una delle tante che colorano i muri torinesi delle fabbriche dismesse, delle stazioni ferroviarie, degli alveari urbani, la sigla del suo autore è una semplice sigla, BR1. Se le cromie del centro rispettano i canoni delle architetture storiche nell’uso del cremisi, del bianco, dell’avorio, là dove la città si allunga per diventare prima periferia, semiperiferia e infine, molto lontano dalla Mole Antonelliana, periferia, diventano tinte forti, accostamenti senza timore di stridere, fondali per racconti incomprensibili a chi non li ha pensati. Figli, anche nella capitale sabauda, della creatività clandestina cui la notte offre riparo, i lavori dei writers hanno via via conquistato spazi ufficiali, ampiezza di respiro, riconoscimento del loro valore. Torino inizia questa strada nel 1999, quando, con Murarte, si concretizza un accordo tra chi pratica l’arte del graffito e i responsabili del Servizio Politiche Giovanili. I semplici passi burocratici danno diritto a un tesserino; gli spazi vengono definiti, gradatamente si ampliano; gli artisti possono uscire allo scoperto, le tre periferie iniziano a colorarsi. Nel 2012, Murarte entra nelle attività svolte dal Servizio Arti Contemporanee, il quale ‘Prevede la destinazione di alcune superfici murarie a interventi artistici che partano dalle attività del Writing e si sviluppino in opportunità di espressione più allargata’. Finora lupi solitari, un buon numero di writers decide, di lì a poco, di riunirsi in associazione culturale. La prima, 2001, è Il cerchio e le gocce. Nel 2004 arrivano i Monkeys Evolution, e dopo di loro Artefatti, KNZ, Style Orange…

Il bus numero 56 lascia la Torino elegante e barocca in direzione del quartiere Cit Turin, oggi vicino al centro, fino a qualche decennio fa semiperiferia blasonata grazie alla presenza di palazzi e ville liberty. Il variegato campionario dell’edilizia moderna annovera il nuovo Palazzo di Giustizia, terminato nel 2001. Il civico 65a di corso Ferrucci, confine ovest di Cit Turin, appartiene a un lungo e basso fabbricato che ospita la sede della Monkeys Evolution. Le scimmie si sono unite, fin dal suo via, al cammino di Murarte; sono state parte attiva nella realizzazione di Pic Turin, il più importante avvenimento italiano in tema di Street Art e uno dei principali a livello mondiale; fra i loro lavori sulla tela di cemento c’è un muro di corso Valdocco angolo via Santa Chiara a ricordo delle vittime della ThyssenKrupp. Dunque i Monkeys hanno tutte le carte in regola per aiutare chi vuole scrivere di un fenomeno arrivato in Italia da Oltre Oceano e praticato, secondo buona parte della gente che si autodefinisce perbene, da deturpatori o vagabondi perditempo. Intorno al tavolo siedono Bernardo, Lorenzo e Paolo. Designer di tessuti, psicoterapeuta, ex chimico ora organizzatore di eventi, i rispettivi mestieri per garantirsi il pane. La domanda numero ha subito bisogno di una risposta con i puntini sulle i. Li mette Lorenzo «La prima cosa da fare è la distinzione tra graffiti e murales, due movimenti simili nella modalità di esprimersi sui muri, quindi sulla superficie pubblica. Però con declinazioni differenti. I graffiti, se li guardiamo in maniera assoluta, sono manifestazioni che parlano al movimento. Chi dal movimento è fuori, tende a vederli come uno dei rumori di fondo della città, paragonabili ai clacson. Disturbano. I muralisti, penso a Diego Rivera, utilizzano le stesse superfici per raccontare la storia dei popoli. Oggi, grazie alla loro evoluzione, alle derive più artistiche, all’ingresso nelle gallerie d’arte, al riconoscimento di patrimonio pubblico da parte di città quali Verona, i graffiti cominciano ad essere vissuti diversamente; sono diventati, in parte, veicoli di messaggi politici». Spiega Bernardo «Il graffito writing nasce e cresce con la cultura hip pop americana degli anni ’70. La sua diffusione ha avuto una svolta decisiva, si è allargata, è stata interpretata in luoghi diversi con modalità diverse, grazie a Internet. Negli ultimi quindici anni si è affermata la Street Art, che ha sempre connotati urbani, ma altri contenuti e altre forme. Non ci si limita più a scrivere il proprio nome, ma si fanno rappresentazioni grafiche. Non si usa più lo spray a mano libera, sostituito dallo stencil (maschera che permette di riprodurre in serie disegni, lettere e simboli, ndr) o dal poster. Il graffito si è poi staccato molto dalla cultura hip pop, e questo distacco ha favorito la frammentazione dei linguaggi e delle tecniche».

In Italia le associazioni di writers ammontano a una quindicina. Stabilire, invece, quanti siano gli artisti risulta impossibile. La fluidità rappresenta una delle caratteristiche del movimento. Ci sono persone che da un mese all’altro smettono di dipingere, ricominciano, riprendono solo per un periodo. Perché si dipinge un muro? Per se stessi, per gli altri, per pura estetica, per dire qualcosa… La parola torna a Lorenzo «Non esiste una risposta precisa rispetto a un panorama così complesso. In principio, far circolare un nome corrispondeva a un messaggio del tipo ‘Io ci sono, io esisto’. Adesso si parla alla realtà esterna, alla gente. Continua a dipendere, comunque, da chi fa i graffiti e da come li intende». E dipende anche, per ciò che riguarda Torino ma non solo, dal rapporto con istituzioni e cittadini. Si è passati quasi naturalmente da un linguaggio egocentrico a un linguaggio aperto. Oggi esiste un filone di arte pubblica mirata ad esprimere, a interpretare, avvenimenti contemporanei. Il muro dedicato alla tragedia della Thyssenkrupp ne è esempio. Bernardo e Lorenzo «In quel caso ci siamo confrontati con la comunità e con le famiglie degli operai morti nel rogo. I famigliari dicevano ‘Vogliamo vedere i volti dei proprietari della Thyssen che bruciano’; noi avevamo la responsabilità di ricordare quanto era successo. Senza sminuire il dramma, però non raccontandolo in modo così crudo. Ecco, allora, l’elenco dei nomi, le mani che escono dalle fiamme».

Il rogo della Thyssen, il clandestino, l’anonimato dei paesaggi urbani, la gigantesca donnola dritta sulle zampe posteriori, gli esseri usciti da incubi o sogni e gli esseri umani alti quanto il fianco di un condominio, gli animali fantastici…. Un giro tra le policromie dei muri di Torino dà l’impressione di trovarsi nella capitale della Street Art. I tre Monkeys la vedono un po’diversamente «Se si parla soltanto di graffiti, Torino era indietro rispetto a Milano, Roma, Napoli, Bologna, dove il writer va per avere un panorama ampio, confrontarsi, cercare stimoli e spunti. Proprio grazie al suo essere rimasta indietro, Torino risultava più malleabile nel fare del graffito una realtà pubblica e condivisa. Il progetto Murarte è stato il primo di questo genere realizzato in Italia ed è divenuto, in parallelo, un incubatore di futuri writers». Murarte ha dato vita alla rassegna Pic Turin, dal 2010 al 2012; ha stimolato l’idea di intervenire con opere nel centro della città; ha creato un vero e proprio itinerario, lo Street Art Tour (vedi box in queste pagine), che porta il turista oltre i percorsi abituali delle guide. Viene però da chiedersi se il connubio tra una cultura comunque di matrice alternativa e le istituzioni ufficiali non imponga dei limiti, non imprigioni nel recinto della buona regola, per dirla alla Matteo Renzi. Insomma: se non costringa gli artisti a una censura preventiva che può andare a discapito della libertà di pensiero e di azione. Paolo non si nasconde «È un percorso tutto in evoluzione, dove si affaccia sovente la domanda su cosa sia o non sia arte. Cito il caso di un maestro belga della Street Art, Roa, che lavora sulla sofferenza inflitta agli animali dall’uomo. I salotti privati e pubblici di Torino non erano pronti per accogliere la sua donnola con un topo in bocca. Giudicata troppo provocatoria, brutta al punto di accentuare il degrado della zona dove sarebbe stata realizzata. Il presidente della Circoscrizione coinvolta, la Settima, si mise davanti al braccio meccanico per impedire che i lavori proseguissero. Certo, pur se non esplicito, l’invito delle autorità punta a evitare immagini che possano urtare la sensibilità o risultare eccessivamente provocatorie». Insomma: se il muro della Thyssen non si discute, di fronte ad altri il rischio è che vengano innalzati muri di interpellanze, proteste, petizioni. Scorrendo i siti dedicati alla Street Art torinese, si registrano casi in cui un lavoro non esiste più perché è stato cancellato o smontato. Alla faccia della valenza culturale e sociale «Torino ha saputo, in certi momenti, dimostrare notevole attenzione nei confronti dei graffiti e del patrimonio che rappresentano. In quei momenti c’è stato dialogo, sviluppo di progetti. Salvo poi, nel quadro a singhiozzo delle vicende politiche, abbandonare ogni iniziativa o chiuderla in un cassetto. Le opere sparite, quelle smantellate, dimostrano che, da parte delle istituzioni, manca un pensiero durevole, non c’è tutela. Un giorno, passando davanti al condominio su cui era stata realizzata, abbiamo scoperto che una nostra opera non esisteva più. Dopo infinite diatribe tecniche fra Comune e amministratore dello stabile, si era deciso di coprirla con una mano di bianco». L’abulia e la latitanza delle pubbliche autorità, con l’attuale situazione di stallo che ne deriva, fanno registrare tra i giovani writers torinesi un atteggiamento preoccupante: la mancanza di rispetto nei confronti dei lavori realizzati da firme nazionali e internazionali della Street Art, capace di arrivare a deturparli. Parlare di nuovo vandalismo suonerebbe semplicistico. Chi si ribella lo fa quando capisce di avere ogni strada chiusa, di trovarsi davanti a un interlocutore muto. Se speri un giorno di essere un writer, la tua ribellione e la tua impotenza le gridi su un muro. Altri lo hanno fatto prima di te. E non importa, anzi, che siano diventati famosi.

 

I 10 murales più belli

Ecco la nostra personale top ten, non in ordine di merito, dei murales più belli di Torino.

Il giro completo della Street Art sabauda si può mettere a punto consultando il sito inkmap.it. Qui troverete il ‘catalogo’ di tutte le opere e i loro autori, titoli e indirizzi, la mappa del percorso da scaricare in pdf. Il mezzo di spostamento migliore è senz’altro la bicicletta, noleggiabile usufruendo del servizio pubblico di bike sharing Tobike. Dettagli, tariffe e agevolazioni per il turista sul sito tobike.it

Corso Valdocco angolo via Santa Chiara (murale per la Thyssen)

Via Giovanni Servais 5

Via Netro 4

Via Netro 3

Via Enrico Giachino 53

Via Don Murialdo 2

Via Passo Buole

Barriera di Milano

Via Gioacchino Quarello

Piazzale tra via Piave e via Carlo Ignazio Giulio