Nuovo monito ai mafiosi da parte di papa Francesco: abbandonate la vostra «organizzazione malavitosa», convertitevi.

Le parole sono state pronunciate ieri mattina da Bergoglio ricevendo in udienza in Vaticano i fedeli della diocesi calabrese di Cassano allo Ionio, guidata dal segretario generale della Conferenza episcopale italiana, monsignor Galantino, uno dei «fedelissimi» di Francesco (e che presto, ha lasciato intendere il papa, lascerà la diocesi per dedicarsi a tempo pieno alla Cei: «Credo che sia il momento di pensare a darvi un altro pastore», ha detto rivolgendosi ai pellegrini). Esattamente otto mesi fa, il 21 giugno 2014, in visita pastorale a Cassano, Bergoglio aveva «scomunicato» gli appartenenti alla ‘ndrangheta: «La ‘ndrangheta è adorazione del male e disprezzo del bene comune», aveva detto allora il papa. «Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati».

Ieri è tornato sull’argomento, non con una nuova scomunica, ma con un invito alla conversione, come peraltro aveva già fatto («Cambiate vita, fermatevi di fare il male, convertitevi per non finire all’inferno») durante la veglia con i famigliari delle vittime delle mafie organizzata a Roma il 21 marzo 2014 dall’associazione Libera, fondata da don Ciotti. «A quanti hanno scelto la via del male e sono affiliati a organizzazioni malavitose rinnovo il pressante invito alla conversione», ha ripetuto ieri papa Francesco. «Il Signore vi aspetta e la Chiesa vi accoglie se, come pubblica è stata la vostra scelta di servire il male, chiara e pubblica sarà anche la vostra volontà di servire il bene».

Ma c’è un altro aspetto del discorso di Bergoglio che va sottolineato, forse più del richiamo alla conversione, anche per i suoi significati intraecclesiali: la religiosità ostentata dai mafiosi, talvolta accolta con favore da una parte del clero. Il cristiano «non può in nessun modo darsi alle opere del male», ha detto il papa. «Non si può dirsi cristiani e violare la dignità delle persone; quanti appartengono alla comunità cristiana non possono programmare e consumare gesti di violenza contro gli altri e contro l’ambiente. I gesti esteriori di religiosità non accompagnati da vera e pubblica conversione non bastano per considerarsi in comunione con Cristo e con la sua Chiesa. I gesti esteriori di religiosità non bastano per accreditare come credenti quanti, con la cattiveria e l’arroganza tipica dei malavitosi, fanno dell’illegalità il loro stile di vita».

La parole del papa evidenziano quelle relazioni fra Chiesa e mafie e quei legami fra devozione popolare e religiosità mafiosa che non sono stati sciolti ancora del tutto, nonostante negli ultimi anni si siano moltiplicati gesti ed interventi da parte dei vertici ecclesiastici per marcare le distanze: la beatificazione di don Puglisi «martire di mafia» e appunto la scomunica; a livello locale, il divieto di celebrare i funerali religiosi ai condannati per mafia deciso dal vescovo di Acireale, monsignor Raspanti, e la recentissima Nota pastorale sulla ‘ndrangheta dei vescovi calabresi in cui si proibiscono i sacramenti agli affiliati alla ‘ndrangheta, «struttura di peccato». Le infiltrazioni mafiose nelle feste patronali – per esempio quelle della festa di sant’Agata a Catania, accertate anche dalla magistratura -, le processioni con i boss in prima fila, gli «inchini» delle statue della Madonna davanti alle case dei capimafia continuano ad essere, in molti territori, occasioni che i mafiosi usano per consolidare il loro ruolo pubblico, grazie alla benedizioni ecclesiastica.