«C’è stato un tempo in cui non eri schiava, ricordati. Fai uno sforzo per ricordarti. O, altrimenti, inventa». Così, nel romanzo-epico Le Guerrigliere (1969) – da poco ridato alle stampe in italiano nella traduzione di Ana Cuenca – Monique Wittig incaricava la scrittura del compito di reinventare un mondo libero dal giogo della norma eterosessuale e maschile. Qualche anno dopo, prima Le corps lesbien (1973) e poi il Brouillon pour un dictionnaire des amantes (1976) firmato con Sande Zeig proseguivano quel progetto poetico e poietico.
In particolare il Brouillon, che esce ora per la prima volta in Italia con il titolo Appunti per un dizionario delle amanti (Meltemi, pp.162, euro 16) e con la bella prefazione della scrittrice francese Anne Garréta, traccia, nella forma di un lemmario, i contorni di una cosmogonia a misura di amanti: «Le amanti sono quelle che provando un violento desiderio le une per le altre, vivono/amano in popoli seguendo i versi di Saffo nella bellezza canterò le mie amanti. I popoli di amanti delle amanti riuniscono tutta la cultura, il passato, le invenzioni, i canti e i modi di vivere».

LE AMANTI sono «guerrigliere», «amazzoni», «lesbiche», soggetti estranei a quella posizione di asservimento sessuale, economico e simbolico agli uomini e al maschile che per Wittig istituiva la categoria «donne». Tale categoria nel dizionario viene assimilata a quella di «mère/madre» e definita in questi termini: «Tutte si chiamavano amazzoni nel giardino terrestre durante l’età dell’oro. Esse vivevano in armonia e condividevano i loro piaceri. Venne, però, un tempo in cui un certo numero di figlie e un certo numero di madri smisero di provare piacere nel vagabondare per il giardino terrestre. Esse cominciarono a stabilirsi nelle città e sempre più spesso osservarono crescere i loro ventri. Si dice che questa attività abbia portato loro delle grandi soddisfazioni. Le cose sono andate così in là in questa direzione che si sono rifiutate di occuparsi d’altro».
Siamo alla metà degli anni ’70 e Wittig trasfigura in questo racconto mitico quelle dolorose rotture tra correnti e tra lesbiche ed eterosessuali all’interno del movimento femminista che la convinsero a lasciare la Francia alla volta degli Stati Uniti.
Il Brouillon nacque come risposta all’editore Grasset che nel 1975 aveva incaricato Wittig di scrivere un «dizionario del femminismo» ma la postura dell’enciclopedismo onnicomprensivo non si addiceva alla scrittrice che interpretò la missione a modo suo, con un anti-dizionario che assumeva la falla, la lacuna, l’incompletezza e la parzialità come dimensioni ineludibili di un sapere mai conchiuso. L’ordine lacunare degli Appunti è coerente con l’impossibilità di cogliere la realtà sociale nella sua interezza ma sempre a partire da un punto di vista situato e in evoluzione. Scritto a quattro mani con la compagna Sande Zeig durante un soggiorno in Grecia, il Brouillon si iscrive dunque nell’ambito di quella lessicografia critica di cui sono espressione tanto il Dizionario dei luoghi comuni di Flaubert quanto i Frammenti di un discorso amoroso di Barthes.

DI FLAUBERT, il testo rinnova la verve parodica nei confronti della forma dizionario e dei saperi di cui questa dovrebbe farsi carico. Il femminismo, ci dicono questi Appunti, è un insieme di pratiche e di esperienze divergenti che non si dà in guisa di manuale, vademecum o glossario. Tuttavia, per Wittig e Zeig, quest’impresa intellettuale rappresenta un’occasione per «cancellare gli elementi che hanno distorto la nostra storia» e per rettificare tutte quelle connotazioni insultanti attribuite a chi non si conforma: «con la fondazione delle prime città, molte amanti, rompendo l’armonia originale, si sono chiamate madri. Amazzone aveva ormai per loro il significato di figlia, eterna bambina, immatura, colei-chenon-si-fa-carico-del-proprio-destino. Le amazzoni sono state bandite dalle città delle madri. È in quel momento che sono diventate quelle violente e si sono battute per difendere l’armonia. Per loro, l’antico nome di amazzoni non aveva cambiato significato. Significava ora qualche cosa di più, quelleche-si-fanno-guardiane-dell’-armonia».

DI BARTHES – che Wittig apprezzava e citava nei suoi saggi teorici – ritroviamo il procedere per frammenti e note, con una prosa sospinta dal desiderio, dagli amori e dalle letture. Tra le fonti degli Appunti citate dalle autrici vi sono, però, testi meno noti e comunque fecondi quali un testo di Helene Diner degli anni Trenta, Mothers and Amazons: The First Feminine History of Culture, e la Christiane Rochefort di Per fortuna andiamo incontro all’estate e Archaos o il Giardino scintillante. Wittig/Zeig intessono dunque una trama di voci ironiche e affettuose che va da «Artemide» («la più amata delle amazzoni») a «donastero» («casa comunitaria delle amanti»), da «jules» («Se sei povera/ sei una jules/ se sei ricca/ sei saffica») a «pelo» («glorioso vello che ricopre le gambe, le braccia, le ascelle, il pube e parte della faccia») passando attraverso i nomi di tutte le amazzoni più o meno note della storia (Eva, Ippolita, Saffo, Maria Antonietta) e dei popoli o gruppi di amanti d’ogni tempo (Danaidi, Flying Lesbians, Furie, Gorgoni, Gouines Rouges, Termodontine).

A RILEGGERE OGGI I TESTI così radicali di Wittig, ci si chiede di quanta utopia siamo capaci noi che viviamo in un mondo saturo di immagini e discorsi in cui ogni forma di sovversione, anche quella dell’ordine sessuale, sembra ridursi a superficie e a oggetto di consumo con una scadenza di breve durata quanto un post su di un social. Come immaginare e promuovere forme di vita e di senso comune capaci di smarcarsi dalle logiche del marketing di idee e soggettività? Una risposta la dà il modo in cui è stata affrontata la traduzione del Brouillon, firmata dal collettivo di passeuses Onna Pas che nella nota introduttiva spiega: «Onna Pas è un multiple names che rivendica un mondo in cui il significato di avere, come scrive Wittig negli Appunti, possa dirsi caduto in disuso. Ci svincoliamo totalmente dal possesso della traduzione e rivendichiamo un glorioso anonimato: questa traduzione non appartiene a nessuna, perché è di tutte».
Con questa pubblicazione dalle intense colorazioni affettive, sviluppatasi nell’arco di più anni attraverso laboratori di lettura e traduzione, esperimenti di scrittura e riflessioni multilingui, Onna Pas compie un atto politico che rinegozia i termini dell’autorialità e agisce a servizio di un’opera che ancora può nutrirci.