Non è un disco di sfumature Il Testamento. Non è un album di cari estinti, etimologicamente destinati a perdere lineamenti e colori poco a poco, a spegnersi lentamente, a smetter di bruciare. Qui l’ironia dell’Appino degli Zen Circus lascia lo spazio al disincanto e tra le strofe le parole tratteggiano i cari del cantante della band: dalla famiglia di sangue dei suoi giorni di bambino in Toscana, a quella della band dove suona da sempre. Il primo sguardo su di sé e sugli altri del disco Il Testamento Appino lo riserva al padre della Commedia all’Italiana Mario Monicelli, che accoglie nella sua famiglia allargata e stende per lui il tappeto d’archi di Rodrigo d’Erasmo degli Afterhours, per scuoterlo poi con il graffiare intenso della sezione ritmica di due quarti del Teatro degli Orrori, Giulio Ragno Favero al basso e Franz Valente alla batteria.

«Monicelli mi era simpatico, mi affascinava il suo essere un po’ figlio di puttana – spiega Appino – La sua intera vita è stata perfetta, ha trovato la chiusa migliore per la sua esistenza buttandosi dalla finestra. Uno così non poteva spegnersi in ospedale». Eppure la canzone non parla tanto di morte, ma di libero arbitrio: Monicelli non si è lasciato spegnere, ha scelto di «bruciare».

Ma quando in Fuoco Appino canta «è tempo di bruciare come si faceva un tempo» la risposta che tristemente arriva dalla traccia successiva, La festa della liberazione, «liberamente ispirata a Desolation road di Bob Dylan» è «la gente si lagna e nemmeno un falò». Il disco stesso è un fuoco catartico, «una liberazione dai miei dolori più profondi – spiega Appino – che parla della mia famiglia, della vita durissima di mia madre, della schizofrenia di mio padre, cose che ho cercato di metabolizzare, per trasformare l’intimo in collettivo». Così dopo due album degli Zen Circus come Andate tutti affanculo e Nati per Subire, «in cui si puntava il dito contro gli altri, ora guardo me stesso – spiega Appino – perché il primo e l’unico poliziotto da uccidere è quello che abbiamo dentro. Sì, sono molto pasoliniano» Fuori da sé poi c’è l’altro, l’amore, che «con gli Zen cercavamo di evitare, mentre qui gli ho dato una dignità diversa: 1+1=2, mai annullarsi, mai usare l’amore come stampella, è un pensiero che ritorna in Fuoco o in Fiume padre». Anche quella con la band in cui suona da quando aveva 15 anni è come una storia d’amore «dopo tutto questo tempo insieme, ho paura di muovermi senza di loro… Questo disco è il primo campeggio estivo di Appino con altri bambini». Infatti accanto a lui in tour ci saranno Enzo Moretto degli …A Toys Orchestra e i due ’Teatri’: «con Giulio e Franz si parlava da tempo di fare qualcosa insieme e quest’anno tutti eravamo fermi. Ci siamo messi al lavoro su questo disco, che già due anni fa immaginavo come è ora, per poi affinarlo negli ultimi sei mesi». Questa produzione a quattro mani Appino-Favero uscita per La Tempesta Dischi è il risultato di un incontro tra la musica che il cantante degli Zen si è scelto e quella con cui è cresciuto, «dischi come La voce del padrone di Battiato, o quelli di De André, Dalla e Venditti – racconta Appino – Poi a 15 anni sono usciti i Nirvana: tutto spazzato via. È così che nel suo Il Testamento Appino ha raccontato la sua storia, convinto che «non si possa morire senza aver scritto almeno una lettera in cui si racconta la propria vita, di proprio pugno e da persone libere. Se fossi Monicelli direi: ’Chi non l’ha fatto è uno stronzo!’».