Il termometro segna -12 e il cielo è limpido stamane a Kiev. Davanti alla fabbrica ci attende Svetlana, 40 anni. Lavora come operaia in questa sussidiaria di una nota multinazionale americana di abbigliamento intimo donna da anni. «Quanto guadagno al mese? 75 euro. Praticamente lavoriamo a cottimo, se gli obbiettivi mensili della produzione non vengono raggiunti dobbiamo fare straordinari non pagati». È una storia come tante in questo povero paese schiacciato dalla povertà dove la divisa locale, la grivna, ha perso il 15% del suo valore sui mercati valutari negli ultimi tre mesi perché la banca centrale afferma di non avere più riserve per difenderla.

«La situazione di quella fabbrica, ci è ben nota» dicono alla sede centrale dei sindacati. «Purtroppo però – aggiunge il funzionario – in Ucraina vige una moratoria di due anni sulle ispezioni nelle aziende. E così abbiamo le mani legate».

Svetlana e suo marito che fa la guardia giurata, hanno smesso di andare al lavoro in bus. Sono troppi per loro anche i 50 cent del biglietto di andata e ritorno. «Ho dovuto farmi passare anche il vizio del fumo», dice Svetlana. E lei è ancora fortunata, non lavorando in nero come altre sue amiche, riceve un sussidio di povertà di 45 euro al mese. Al sindacato hanno calcolato che un salario minimo per non finire sotto il livello di povertà a Kiev dovrebbe essere di 350 euro mensili, peccato che la media dei salari a fine 2016 fosse di 190.

È interessante notare come tutto ciò venga percepito dai lavoratori ucraini. Secondo un recente sondaggio dell’Istituto di Sociologia ucraino Nan il 54% dei lavoratori considera la propria condizione «media», il 43% sostiene di essere «povero» e solo 3% di trovarsi in condizione di miseria. Ma la successiva domanda mostra cosa significhi condizione «media» per un ucraino: il 45% degli intervistati afferma di spendere tutti i propri guadagni in prodotti alimentari, solo l’1% dichiara di essere in grado di risparmiare e il 47% ha difficoltà a pagarsi le cure mediche.

«Detto tra noi – sorridono amari al sindacato – abbiamo ben altre grane che quella di Svetlana. Spesso i salari non vengono neppure pagati per molti mesi. Nel settore estrattivo e metalmeccanico è una normalità». In Ucraina i sindacati esistono ancora, spesso sono combattivi, ma i lavoratori non se la sentono molte volte di scioperare. Perdere quel poco di reddito significherebbe sprofondare in un abisso dai contorni sconosciuti.

Valia, 54 anni, compagna di lavoro di Svetlana, ci accoglie nella sua casa popolare ai limiti estremi della città. Nel tinello del piccolo appartamento dove vive con la figlia, fa bella mostra un souvenir di Venezia. «Ci sono andata nel 2012 in autobus quando ancora la grivna aveva un valore quadruplo a quello di oggi». Erano i tempi del governo Yanukovich, il presidente filo-russo poi rovesciato dalla Euromaidan. «Era un bandito anche lui – afferma Valia – però si stava molto meglio di adesso». Tra poco Valia andrà in pensione. «Mi daranno 40 euro al mese, mi sto già cercando qualcosa da fare» dice.

Di politica non vuole nemmeno sentire parlare. Ma della guerra in Donbass ha una sua idea: «Poroshenko e Putin si fanno la guerra per ingrassare i loro oligarchi e noi moriamo. Però questi secessionisti non mi piacciono. Se ne vogliono andare… forse noi ucraini abbiamo la peste?».

Se la politica in generale è screditata, i più screditati di tutti sono i vecchi partiti della sinistra e l’idea del socialismo. Secondo il sondaggio già citato tra gli intervistati che si considerano di sinistra solo 1,4% ha fiducia nel Partito Comunista (contro il 4,2% dell’intero campione) e il 7,1% dichiara di avere degli ideali socialisti (contro il 9,2% del totale degli intervistati).

La figlia di Valia non ha ancora di 17 anni e sogna l’Europa, o meglio la Germania. Per ora fa la commessa in un negozio di scarpe e ogni tanto la chiamano come modella per la pubblicità di un’azienda di cosmetici. «Ce ne andremo via tutti da questo paese. Qui non resterà nessuno» afferma certa, mentre scende la sera su Kiev.