È in corso uno scontro, culturale e materiale allo stesso tempo, tra due visioni, tra globale e nazionale. Sono due polarità, ma hanno una certa soluzione di continuità.

La globalizzazione prima maniera è stata accantonata, lasciando spazio a un pragmatismo che fa i conti con i fallimenti delle ambizioni mondialiste più estreme e che in qualche misura difende bastioni nazionali sempre dentro una cornice dove il mercato internazionale è il vero contesto sovrano.

Tale passaggio è sempre la risultante di conflitti e contese che ora si declinano anche sul versante monetario. E non poteva essere diversamente considerato il ruolo crescente della moneta nell’economia contemporanea, cioè da quando la creazione di moneta dal nulla (fiat money) ha preso il sopravvento.

Ecco, dunque, il polo smaccatamente sovranista che ambisce a un controllo delle proprie autorità monetarie, con il capostipite di questa impostazione, Donald Trump, che ormai critica apertamente il suo (nel senso che lo ha nominato proprio lui) presidente della Fed per non aver invertito la rotta verso scelte monetarie espansive. Trump è giunto persino a invidiarci Mario Draghi che, oltre ad aver annunciato il rinvio del rialzo dei tassi d’interesse, sembrerebbe prendere nuovamente in considerazione la riattivizzazione di un piano di Quantitative easing se la situazione europea peggiorasse sia sul piano della crescita sia su quello di un’inflazione insufficiente.

Trump in questi mesi aveva ripetutamente criticato la Bce per il perdurare di politiche monetarie espansive che avrebbero tenuto artificialmente basso il prezzo dell’euro, finendo per praticare una concorrenza sleale nei confronti del dollaro. Insomma critica ciò che non riesce a imporre alla propria banca centrale in una logica di ipercompetizione declinata su scala nazionale. D’altro lato viene annunciata la moneta di Facebook, dal nome immaginifico di «Libra». I suoi sostenitori ne sottolineano le potenzialità di disintermediazione dal sistema bancario fino a prefigurare una moneta gestita dal basso, senza considerare che, almeno per una prima fase di cinque anni per ora, tale moneta sarà in mano ai grandi operatori internet, compresi quelli che già ora vivono della gestione di denaro nella infosfera.

Difficile ipotizzare che perdano lo scettro monetario. Una moneta, dunque, che rischia di rafforzare uno dei principali contendenti del potere contemporaneo. L’annuncio di Mark Zuckerberg potrebbe anche essere letto in chiave antisovranista. Facebook, infatti, propone una criptovaluta che segue un’altra logica, quella dell’«impresa prima della nazione», come affermò il suo stesso fondatore. Cioè in gioco c’è il primato dell’impresa e, si può aggiungere, della moneta sui vincoli territoriali e statuali.

Per quanto siano in corso fenomeni di deglobalizzazione è sempre in vita un percorso inverso, capace di inserirsi nelle pieghe di società atomizzate e indifese che vivono dove a far da padrone è un mercato ipercompetitivo sovranazionale.
Lo scontro in corso, dunque, va compreso nelle sue corrette proporzioni, senza scivolare in letture semplificate, o peggio complottiste, ma nella consapevolezza dei differenti interessi in campo, con parabole autonome che giocano le carte di cui rispettivamente dispongono. Mentre da un lato c’è chi chiede un ritorno di controllo politico sulle banche centrali per farne strumento di conflitto con i competitor commerciali, dall’altro c’è chi opera per soppiantare del controllo politico a tutto vantaggio dell’impresa finanziaria e non solo.

Entrambe queste polarità partono dalla consapevolezza che l’attuale economia non può che fondarsi sul debito, pubblico e privato. In questo senso controllare la moneta costituisce un valore aggiunto per entrambe le prospettive. Le quali, almeno per un certo periodo, continueranno convivere.