La pandemia, come sostenuto da Mario Draghi, condurrà a «una profonda recessione». L’epicentro sarà nell’economia reale e, solo di riflesso, in quella finanziaria. Ci sarà un crollo dell’offerta e della domanda che si propagherà in tutti i paesi colpiti dal virus.

Non ci sarà necessariamente simultaneità temporale, per questo la possibile ripartenza della Cina sarà smorzata innanzitutto dal fermo economico dell’Europa, e probabilmente anche degli Usa, con un effetto domino, con diversi blocchi e rotture all’interno delle catene del valore globali. La gravità del contesto si può dedurre dal profilo delle contromisure prese o in discussione: quasi tutte le principali banche centrali hanno ridotto ulteriormente i tassi d’interesse e allargato la base monetaria.

La Fed ha annunciato interventi «illimitati» e questa sarà la linea che probabilmente si affermerà ovunque. Inoltre si stanno predisponendo piani di finanziamenti agevolati alle piccole e medie imprese, la sola Germania ha ipotizzato un sostegno della KfW (l’equivalente della Cassa depositi e prestiti) di 550 miliardi. Da poco erano iniziati i programmi di riassorbimento della massa monetaria utilizzata per arginare la crisi scatenata nel 2008, che già si deve tornare a pompare moneta e in misura probabilmente assai maggiore. Si diffonde, inoltre, la richiesta di affiancare alle politiche monetarie quelle fiscali.

Qui ogni paese sembra continuare ad andare per la propria strada, Europa compresa. I differenziali di indebitamento rendono difficili decisioni comuni. L’emergenza è tale, però, che sembra prendere piede l’ipotesi di Eurobond garantiti a livello sovranazionale, potrebbero esser chiamati Coronabond per dare il senso di un esperimento a termine. I titoli continentali avrebbero una solidità maggiore, evitando di riflettere le debolezze dei singoli paesi. Garanzie su acquisti di titoli nazionali o creazione di titoli continentali fanno parte di quell’architrave che dovrebbe garantire la finanza pubblica e dunque rendere ipotizzabili più incisivi piani di spesa per gli Stati.

Ma quale direzione prenderà questo allargamento della base monetaria? L’urgenza nel fronteggiare la caduta dei redditi fa breccia, questa volta, anche in un paese come gli Stati Uniti, con l’ipotesi del cosiddetto helicopter money, cioè la distribuzione diretta di somme di denaro ai cittadini. Si parla di 1200 dollari a persona. Sarà sufficiente? Il Financial Times ha recentemente sottolineato la bontà di sostenere direttamente il reddito delle persone «costi quel che costi» a livello globale. Il FT parla di quanto sarà acuto, e imprevedibile nella durata, lo shock della domanda dopo quello odierno dell’offerta.

La repentina perdita di reddito e l’incertezza diffusa alimenteranno un grave contenimento dei consumi e quindi della produzione. La crescita della massa monetaria dovrebbe prendere la strada di un contro shock anticiclico, un Quantitative easing for the people: dovrebbe fornire sostegno al reddito e alla domanda, favorire la redistribuzione e dare potere contrattuale alle classi subalterne per far fronte alla logica delle ristrutturazioni che seguiranno la crisi.

Insomma si dovrebbe incuneare nelle scelte del momento per non lasciare che la liquidità infinita si riversi unicamente sulle imprese, magari senza condizione alcuna. Ma varrebbe la pena, contemporaneamente, riflettere sulla portata e gli effetti del potenziare sempre più l’uso della moneta, l’indebitamento in ultima istanza, a fini anticiclici.

Espediente tampone che negli ultimi decenni non è mai stato neutralizzato. Al contrario è stato costruito un castello di carta dove ogni intervento finiva per sedimentarsi su quello precedente, senza mettere mai mano a un modello di sviluppo ipertrofico e anti-ecologico. L’intervento odierno, benché più orientato verso l’economia reale, non si sottrae alla medesima logica. Ma questa orgia di denaro può veramente non avere limiti? E con quali prospettive?