I morti quotidiani nei cantieri degli stadi in Qatar non lo turbano. Sepp Blatter non torna indietro. «I Campionati del Mondo del 2022 si giocheranno in Qatar, non c’è alcun dubbio», ha messo in chiaro nei giorni scorsi. L’unico «dubbio» il presidente della Federcalcio mondiale sembra averlo rispetto al clima: si giocherà d’estate con le temperature elevatissime che si registrano nel Golfo in quel periodo? O d’inverno e, in quel caso, in quale mese? Il Comitato esecutivo della Fifa, riunitosi a Zurigo il 4 ottobre, non l’ha deciso. Se ne riparlerà dopo i Mondiali in Brasile.

Nel frattempo la mattanza e lo sfruttamento di lavoratori stranieri prosegue, per dotare il piccolo ma ricco regno qatariota delle infrastrutture necessarie per ospitare il torneo che sarà seguito da centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. L’ex emiro Hamad bin Khalifa Al Thani e il figlio Tamin al quale ha ceduto lo scettro qualche mese fa, hanno puntato molto del loro potere e della loro influenza per ottenere i primi Mondiali “arabi”. Un’operazione di eccezionale portata, sportiva, politica ed economica che si aggiunge alla diplomazia spregiudicata (e talvolta spietata) che svolge questo staterello del Golfo ricco di gas che confina a sud con l’Arabia saudita. E’ in ricostruzione l’intero regno, a tempi di record. Nonostante questa corsa si stia dimostrando folle per la vita di chi spesso è costretto a lavorare in condizioni disumane.

Il quotidiano britannico Guardian qualche giorno fa ha riferito della morte di 44 morti lavoratori nepalesi – tra lo scorso 4 giugno e l’8 agosto – in gran parte per infarto (caldo insopportabile e ritmi insostenibili) o per gravi incidenti sul lavoro. L’ambasciata indiana a Doha ha quindi reso noto che ad agosto ci sono stati decessi quotidiani tra i suoi cittadini impiegati come manovali sui cantieri degli stadi. Lavoratori che, come tutti gli altri manovali stranieri presenti el regno (quasi tutti dal sud–est asiatico), guadagnano meno di 200 dollari al mese per dieci ore di lavoro, senza alcuna tutela, e che rappresentano l’85% della popolazione dell’emirato (i cittadini qatarioti sono appena 300 mila).

Il vice presidente del Comitato Esecutivo della Fifa, il principe giordano Ali bin al-Hussein (fratello di re Abdallah), ha chiesto di controllare i lavori in corso per infrastrutture destinate al Mondiale in Qatar. «Non possiamo intervenire negli affari interni (del Qatar) ma la Coppa del Mondo non può essere innalzata sul sangue degli innocenti», ha protestato. Ma le sue parole sono cadute nel vuoto. Blatter, timoroso di perdere la ricca torta di miliardi di dollari che mette sul tavolo la dinastia qatariota, ha scelto di non considerare morti e feriti e di andare avanti.

Miliardi su miliardi da spendere in nome del potere e del prestigio ai quali si contrappongono i magri salari dei lavoratori asiatici e persino i contratti dei calciatori stranieri ingaggiati dai ricchi club della “Stars League”, la Serie A del Qatar, e che non sempre sono rispettati. Riecheggia ancora la denuncia del nazionale marocchino Abdessalam Ouadoo che nei mesi scorsi ha raccontato la sua esperienza di giocatore nel Golfo, lasciato senza stipendio dai proprietari del suo team. «In Qatar pensano che con i soldi si può comprare qualsiasi cosa: ville, automobili di lusso e anche gli esseri umani…in quel Paese gli esseri umani non sono rispettati. I lavoratori non sono rispettati. Un Paese che non rispetta tutto ciò non può organizzare i Mondiali del 2022». La Fifa finge di non vedere e sentire.

Eppure la Confederazione sindacale internazionale aveva subito rivelato le violazioni aperte dei diritti dei lavoratori, dal salario alla sicurezza. Inoltre le “riforme” annunciate dall’emiro non sono mai avvenute. «Il governo (del Qatar) deve assicurare che suoi stadi per la Coppa del Mondo non saranno costruiti sugli abusi e lo sfruttamento dei lavoratori (stranieri)», ha dichiarato qualche mese fa Sarah Leah Whitson, ex direttrice di HRW in Medio Oriente, illustrando un rapporto di 146 pagine sulle enormi commissioni che i lavoratori asiatici pagano per il reclutamento al lavoro, sulla confisca dei passaporti, sul potere che il Paese accorda ai datori di lavoro e sulla proibizione per i migranti di aderire ai sindacati e di scioperare. L’emiro del Qatar sostiene di aver nominato un team internazionale di avvocati per indagare sulle morti sul lavoro e di essere pronto a collaborare con Amnesty e Human Rights Watch. Ma pochi credono alles sue buone intenzioni mentre l’opinione pubblica qatariota è furiosa con i media stranieri accusati di voler sabotare il Mondiale del 2022.