Sul personalissimo cartellino di Donald Trump si moltiplica il numero degli haters, soprattutto nello sport americano. E ora tocca al calcio, al soccer, dopo mesi di guerriglie verbali via Twitter con stelle del basket (Lebron James, Cleveland Cavaliers, Nba, gli ha dato del buffone) e del football, tra tutti Colin Kaepernick, l’atleta afro che ha boicottato per primo l’inno nazionale statunitense dopo la stagione di violenza della polizia sui neri nel 2016, attirandosi le ripetute e volgari offese social di «The Donald».

A due mesi dall’assegnazione della Coppa del Mondo 2026, gli Stati uniti rischiano seriamente di veder compromessa la propria candidatura, messa sul tavolo oltre un anno fa – prima del giuramento di Donald Trump alla Casa Bianca -, assieme a Canada e Messico. E questo perché The Donald ha praticamente preso a picconate l’opzione statunitense negli uffici della Fifa nei giorni scorsi, vergando un tweet minaccioso con implicito riferimento al Marocco, che pure si candida per la competizione, contando sull’appoggio prestigioso della Francia e di altri stati europei.

«Gli Usa hanno presentato un’offerta forte insieme a Canada e Messico per i Mondiali di calcio 2026. Sarebbe una vergogna se i paesi che sosteniamo sempre facessero pressione contro la proposta Usa. Perché dovremmo supportare quei Paesi quando essi non supportano noi (anche all’Onu)?», questo il tweet di Trump. Con il presidente della Federcalcio degli Stati uniti, Carlos Cordeiro, che si è affrettato a svelenire il clima, spiegando che non c’era minaccia presidenziale di ritorsioni verso il Marocco e i paesi che si sarebbero schierati contro gli Stati Uniti nella corsa ai Mondiali 2026. Un debole tentativo di ricomposizione attraverso i tweet d’appoggio del premier canadese Trudeau e del messicano Nieto, che non allenta la pressione intorno al presidente Usa.

Insomma, gli americani rischiano i mondiali. Ed è tutta colpa del presidente. Come ha scritto anche The Guardian, c’è una lunga lista di motivi legati a Trump che stanno allontanando l’edizione dei Mondiali 2026 dagli Stati uniti, nonostante la forza economica del Paese e la crescita continua del soccer, tra pubblico sugli spalti e dal divano di casa, con strutture all’avanguardia, nuove, ecocompatibili, alla ricerca del mancato boom di oltre 20 anni, con i Mondiali del ‘94.

Dal bando all’accesso negli Stati uniti per una lunga serie di paesi musulmani (il muslim ban, provvedimento su cui la Corte Suprema americana si esprimerà nei prossimi giorni), al «no ai migranti dai paesi di merda» dello scorso gennaio, con immediata richiesta di scuse da parte di Onu e Unione africana, che esprime 54 voti nella volata per l’assegnazione della competizione. E neppure il partner messicano ha fatto salti di gioia per i lavori di completamento del muro di separazione tra Stati uniti e Messico, con Trump che addirittura voleva addebitarne i costi al governo della bandiera Tricolor.