Il mio amore, il mio amico/Quando sogno di te/Il mio amore, il mio amico/ Quando canto è per te” sembra soffiare con, anche e troppa, soavità scanzonata Marie Laforêt su un sipario esistenziale che, di certo non si spegne sulle lucine di un alberello di Natale: il nascondimento di due quotidianità imperfette che a modo loro si rincontrano proprio in una festività che suggerisce la concordia. Quando ed è qui che comincia “Mon amour, mon ami” come indirizza il regista, Adriano Valerio, nelle sue note, e si consuma, con l’annuncio di un abbandono, costretto, intimato, però non voluto, nemmeno lontanamente immaginato, una storia di marginalità ed affetto, di amicizia e convivenza e come detto, forse di amore come avrebbe desiderato l’uomo e non la donna. E’ un ritorno quello di Valerio a Venezia, dopo il passaggio nel 2015 alla Sic con “Banat”, interessante storia di disoccupazione giovanile con tanto di emigrazione a rovescio, dall’Italia alla Romania, ed ora con questo cortometraggio, ospitato in Orizzonti (prima proiezione PalaBiennale il 31 agosto alle ore 13,15, seguiranno altre tre in Sala Giardino la seconda settimana del festival, prima di attraversare l’Oceano ed arrivare a Toronto con poco altro cinema italiano), riprende la strada, piccola e senza compromessi, del cosiddetto “cinema del reale” (la fotografia è di Diego Suarez Llanos, spesso al lavoro con Roberto Minervini). Dunque, protagonisti, pedinati ed inseguiti dalla macchina da presa in una cornice di realtà, spiazzante e deflagrante per le sue sottili trame, sono l’ultracinquantenne Daniela e il poco meno che quarantenne Fouad: due persone che si portano come bagaglio, in quel di Gubbio, cicatrici a stento rimarginabili; provenienti da luoghi e ambienti diversi, ma accomunati da un certo benessere familiare, dissipato dalle circostanze all’apparenza imperscrutabili ed ora impegnati, ognuno a modo proprio, a cercare un riscatto alle proprie mancanze. Infatti, sono diverse le motivazioni che hanno portato i due all’alcolismo e nel contesto “drammaturgico” che fa salire la temperatura della storia c’entrano molto: la quasi indigenza di Daniela che non riesce nemmeno a vendere la bella e fatiscente casa di famiglia, e la clandestinità di Fouad (per l’uomo c’entrano pure precedenti penali e la voglia di metter fine ad un disagio fisico, attende un’operazione al viso che può ottenere solo con un permesso di soggiorno, sposandosi). Eppure, sembra che solo nella sospensione della scelta, se essere un amore o solo un amico o tutt’al più, tutti e due, si gioca e si chiude “Mon amour, mon ami”, lasciando però aperta la porta alla quotidianità, forse nuova, che verrà. Fabio Francione