Un ragazzo di 20 anni, Kande Boubacar, originario del Senegal, picchiato a sangue, nel centro di Palermo, a pochi passi dal Teatro Massimo, «e seppure in proporzione minore di altre città, non è il primo caso. Sì, persino a Palermo, una città di accoglienza, solidale, aperta»: è Claudio Arestivo, del Moltivolti, che parla, arrabbiato, preoccupato, ma non arrendevole. «Evidentemente, la propaganda dell’odio fa breccia, abbassa le difese, spesso fra i più giovani; ma Palermo saprà reagire anche a questo episodio orribile». Ho conosciuto Claudio Arestivo alcune settimane fa proprio nel locale che gestisce con tanti altri, in quel contesto, un episodio così sembrava inimmaginabile.

IL “MOLTIVOLTI” sta proprio nel cuore di Ballarò – dove Salvini quando è stato a Palermo non ha avuto il coraggio di venire – come dire nel corpo vivo della città, un luogo di cui è impossibile non innamorarsi e non sentirsi a casa. «Questo segnale – aggiunge Claudio – ci spinge a lavorare con ancora maggiore determinazione».

“MoltiVolti” è un’impresa sociale (i cui utili sono, cioè, reinvestiti in solidarietà) che, fedele al proprio nome, è tante cose insieme: un ristorante siculo-etnico, uno spazio a disposizione di dodici associazioni per i diritti umani, variamente declinati, dal circolo Arci Porco Rosso che a Ballarò gestisce lo sportello “sans papiers”, all’Osservatorio sulle discriminazioni razziali “Nourredine Adnane”, a Libera e all’Asilo multietnico “Kala Onluss”, a molte altre associazioni come “Le Donne di Benin City” (delle donne nigeriane contro la tratta) per citarne una.

Questo è anche uno dei presidi della piattaforma “Mediterranea”; qualche mese fa, infatti, in occasione di un incontro su “Mafie e migrazioni”, ospiti Don Ciotti e Nello Scavo, era possibile incontrare, in cucina, Luca Casarini, che della “Mare Jonio” e di Mediterranea è uno dei principali protagonisti, e anche Erasmo Palazzotto.

CI SONO ARRIVATO quasi per caso, ed è stato Claudio Arestivo a raccontarmi questa realtà. «È nata cinque anni fa – dice – inizialmente eravamo 14 persone, di 8 Paesi diversi, europei, asiatici, africani; oggi siamo 28 dipendenti, soci compresi. La cucina, dove ora lavorano 5 cuochi di 5 Paesi, è stata il volano di un’esperienza più ampia, perché il cibo ha ribaltato le differenze nell’opportunità di mescolarsi». La cucina siciliana, del resto, è stata questo da sempre, contaminazione ed esaltazione dei sapori: «siculo-etnica è praticamente una tautologia.

D’altra parte, il mercato di Ballarò è a pochi passi, e parla da solo. «Il menù, che mescola lingue e sapori, è un po’ il simbolo dei nostri ‘moltivolti’, ma è, soprattutto, il veicolo di una contaminazione reale, dove si costruisce insieme una realtà solidale e non c’è qualcuno che accoglie e chi è accolto. Il Coworking funziona – aggiunge – le associazioni utilizzano lo spazio gratuitamente (oppure contribuendo con quel che possono), una scrivania, la connessione; profit e no-profit si sostengono a vicenda, condividono un’identità e una battaglia comune di solidarietà. E mentre lavorano, o dopo, prendono volentieri una birra, o mangiano qualcosa, perché sanno che sostengono un’organizzazione con poche risorse, ma che svolge un ruolo importante».

IN QUESTO PEZZO di Ballarò, in un triangolo di poche decine di metri, oltre a loro c’è l’Associazione senegalese, e c’è l’Oratorio di Santa Chiara. «Siamo dirimpettai – spiega Claudio – e collaboriamo spesso, per i problemi della casa, come per i tirocini formativi, per il lavoro. Santa Chiara è il ‘porto’ di accoglienza più antico di Palermo, ha cento anni di storia; lì arrivano o passano, all’inizio, quasi tutti i migranti di Palermo, attraverso i contatti e le reti informali. Qui sono venuti in tanti – racconta – dal tuo quasi compaesano, Neri Marcoré, a Daniel Pennac, a Letizia Battaglia naturalmente; per conoscerci, per mangiare o per parlare dei temi più vari, ma, soprattutto di come sconfiggere il razzismo e l’irrazionalità delle paure».

LÌ, IN EFFETTI, più che parlare, basterebbe guardarsi intorno; ma, l’aggressione di Corso Cavour al giovane senegalese, ci ricorda che questo lavoro essenziale deve essere sostenuto, ampliato, deve spingere tutti ad alzare la guardia. «Due anni fa – continua Claudio – sono arrivati i reali d’Olanda, per partecipare a un seminario, a porte chiuse, sui modelli innovativi di integrazione»; sembra incredibile che oggi persino in Olanda si debba ragionare di quello che vent’anni fa era naturale e quotidiano; e oggi è lui a ripetere “persino a Palermo”. A sedersi con noi, Jerusa Barros, una straordinaria cantante siculo-capoverdiana, una voce splendida, un’energia travolgente e una cordialità autentica. È arrivata a Palermo da bambina, più di trent’anni fa; dopo un po’ raggiunge, Chris Obay, il bassista del suo gruppo, nigeriano, arrivato dal mare,- insieme cantano una versione straziante di “Cu ti lu dissi”, di Rosa Balistreri: “ciatu de lu me cori, l’amuri miu sì tu”.

Questo, penso, è il Mediterraneo che vogliamo. Chiedo a Claudio, di Palermo: «È cambiata, sicuramente – mi risponde. Orlando fa un gran lavoro. Certo non si può dire che abbiamo sconfitto la mafia, sarebbe un errore anche pensarlo; anche perché l’asse del potere s’è spostato, anche il pizzo sembra diminuito, molti codici sono oggi scoperti, e le vittime meno sole e meno impaurite; ma la guardia non va mai abbassata». E oggi è sulla guardia alta che un’aggressione razzista ci costringe a tornare. Ma anche oggi, Claudio non cambia idea, e non la cambia neanche Kande Boubacar, il giovane senegalese aggredito: il tessuto antirazzista di Palermo è forte e ci sono le energie per reagire. «Il Comune di Palermo – dice Claudio – ha tolto la sponda ad ogni intolleranza; quello che è accaduto è figlio di un clima che si respira in tutto il Paese, e se le cose accadono, quello che qui non deve accadere è minimizzare, e non sta accadendo».

«IL RAPPORTO con Ballarò – conclude – è complesso ma non difficile. Anche questo quartiere si sta trasformando, e le contraddizioni, certamente, ci sono. Qui vivono 14 etnie, si parlano circa 25 lingue; ci sono i poverissimi, ma anche i nuovi ricchi che ristrutturano le case. Ma è importante stare qui pure per questo, per dimostrare che le contraddizioni si possono rovesciare in ricchezza comune e oggi c’è una ragione in più per continuare”. Penso a Kande Boubakar e al suo amore per Palermo anche ora, e penso che potremmo invitare la “Jerusa Barros Band”, a Fermo, il 5 luglio prossimo, per il quarto anniversario dell’uccisione di Emmanuel Chidi Nnamdì; la loro musica potrebbe spiegare molte cose.

Pestaggio razzista, identificati quattro minori

La Polizia di Stato di Palermo ha identificato quattro minorenni del branco che nella notte tra sabato e domenica, nella centralissima via Cavour, si è reso protagonista del pestaggio razzista ai danni di Boubacar Kande, giovane di origini senegalesi che stava tornando a casa in bicicletta dopo una giornata di lavoro. I quattro sono indagati dalla Procura dei minori, ma la lista di indagati potrebbe presto allungarsi. Tra gli identificati ci sarebbe anche un adulto, ripreso dalle telecamere di videosorveglianza, ma la sua posizione sarebbe marginale e il suo nome non è stato iscritto sul registro degli indagati.

All’aggressione avrebbero partecipato una dozzina di minori sotto lo sguardo di una ventina di testimoni che non avrebbero mosso un dito, solo più tardi, grazie all’intervento di due ragazzi, gli adolescenti si sono dati alla fuga. Boubacar Kande ha riportato una ferita al sopracciglio e i medici gli hanno dato una prognosi di dieci giorni. La città di Palermo ha espresso solidarietà al ragazzo, il Comune ha già annunciato che si costituirà parte civile nell’eventuale processo.