I problemi in Italia, anche quando sono drammatici, si trascinano di solito per anni o per decenni, in un sistema di irresponsabilità generalizzata. Questo è accaduto e per molti versi, temiamo, continuerà ad accadere anche nel caso dell’Ilva.

Per valutare il piano di salvataggio proposto dal governo cominciamo ricordando la situazione attuale, nonché le condizioni di base perché un programma di intervento appaia accettabile.

Intanto ancora oggi registriamo un elevatissimo livello di inquinamento dell’impianto. Tale situazione ha portato lutti e sciagure per molti anni e minaccia ancora la vita di migliaia di persone. Parallelamente, registriamo una serie di vicende giudiziarie molto intricate e che difficilmente troveranno una loro sistemazione a breve termine. Inoltre, ci troviamo di fronte a una situazione del gruppo molto debole sul piano industriale, di mercato, organizzativo, in un settore dominato progressivamente da pochi grandi complessi con una presenza globale. L’azienda si trova poi di fronte a un’assoluta mancanza di risorse finanziarie, con la conseguente minaccia di chiusura a brevissimo termine.
Una soluzione che voglia quindi essere adeguata ai problemi dovrebbe da una parte risolvere in poco tempo la questione dell’inquinamento, dall’altra trovare un assetto proprietario, finanziario e gestionale adeguato e stabile del complesso aziendale. In tale ambito, ovviamente, dovrebbe essere tutelata l’occupazione diretta e quella dell’indotto.

Il progetto governativo

Nell’attuale quadro come si colloca il progetto governativo? Intanto sembra trattarsi di un intervento che arriva all’ultimo minuto (il governo Renzi è invece in carica ormai da un bel po’). Non sembrano ancora definite questioni importanti e il quadro finanziario, in particolare, appare poco credibile.
In ogni caso, per quanto riguarda la questione dell’assetto proprietario dell’azienda, ci dovrebbe essere un intervento pubblico che, almeno secondo le intenzioni, dovrebbe essere limitato a un periodo tra i 18 e i 36 mesi; si cederebbe poi il passo a dei privati. Verrebbe utilizzato il meccanismo della gestione straordinaria secondo la legge Marzano.

Da una parte resterebbe la vecchia Ilva con i suoi debiti e le sue questioni giudiziarie, che verrebbe isolata da una nuova società cui sarebbero ceduti forse in affitto gli impianti e che partirebbe su basi pulite. Il piano potrebbe prevedere comunque al riguardo diverse varianti. L’azionista di maggioranza dovrebbe essere la Fintecna, una società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti.
Sarebbero investiti dal governo 1,0 miliardo circa per il risanamento ambientale e 800 milioni per altri interventi a favore della città.

Questi i punti deboli

Il timore è quello che, come nel caso Alitalia, le pesanti spese della riconversione ambientale e strategica siano tutte accollate sulla mano pubblica e che poi l’impianto, una volta risanato, venga ceduto per pochi spiccioli al primo imprenditore di passaggio.
Suscita perplessità la nomina di ben tre commissari straordinari invece di uno solo. Ne seguiranno presumibilmente confusione burocratica, conflitti di competenze, conseguenti dilatazioni nei tempi di intervento.

Intanto i rilevanti profitti guadagnati dai Riva nel corso degli anni sembrano, almeno secondo le inchieste della magistratura, per la gran parte tranquillamente parcheggiati all’estero. Tra l’altro, gli importi a suo tempo in teoria sequestrati dalla magistratura alla famiglia si sono rivelati come di difficilissimo incasso: stanno quasi tutti celati dietro a dei paradisi fiscali.

Per altro verso, i circa due miliardi stanziati dal governo, anche se possono sembrare tanti, si potrebbero rilevare alla fine largamente insufficienti e lo stesso governo potrebbe essere obbligato a riversare nel calderone, nei prossimi tempi, risorse aggiuntive cospicue. Oltre al risanamento ambientale, servono infatti molte risorse per portare avanti un consistente piano di ristrutturazione e di rilancio del complesso, nonché per ricostituire un adeguato livello di mezzi propri.

Colpiscono molto sfavorevolmente l’ulteriore ritardo e comunque i tempi molto vaghi, almeno per una parte, nella realizzazione del piano di risanamento ambientale, che si presentava già, peraltro, come non del tutto adeguato; colpisce ancora di più, poi, l’esiguità della cifra stanziata (un miliardo circa) rispetto alle più sostanziose stime precedenti. Esse parlavano di 1,8 miliardi e sembravano già insufficienti.

In proposito, ricordiamo come sia un po’ difficile che l’Unione Europea approvi nella sua interezza un piano sospettato, oltre che di aiuti di stato, in specifico anche di infrazione proprio in tema di risanamento ambientale.
Una soluzione stabile della questione dell’Ilva richiederebbe a nostro parere un intervento pubblico permanente e non temporaneo, a tutela degli interessi nazionali; a esso dovrebbe accompagnarsi l’intervento nella compagine azionaria anche di un grande gruppo multinazionale, che avesse le risorse necessarie per dare un assetto adeguato all’impianto.

Non convince del tutto la proposta alternativa, pur meritevole, avanzata dal mondo ambientalista e che prevederebbe la chiusura totale dello stabilimento e l’avvio di iniziative pubbliche e private di tipo alternativo. Ci sembra che, nell’attuale stato di sostanziale liquefazione delle strutture pubbliche e di fuga di quelle private, pensare che il sistema Italia sia capace di suscitare in pochi anni energie tali da creare ex-novo 20.000 posti di lavoro, sia un obiettivo irraggiungibile. Inoltre l’Italia, dopo la Fiat, non si potrebbe permettere di perdere un altro fondamentale pilastro della sua struttura industriale.

Il piano degli ambientalisti ha però il merito di sottolineare la drammaticità della situazione sanitaria cui si trova di fronte la città di Taranto e la necessità di incanalare tutti gli sforzi verso la soluzione della questione.