A soli 10 minuti a piedi dalla centralissima Grande Place, dove turisti di ogni nazionalità passeggiano fra le boutique di cioccolato, le baraque à frite e le affollatissime birrerie, si accede nelle vie del quartiere di Molenbeek. Una delle più povere fra le 19 comuni che compongono la città di Bruxelles-Capitale, con una popolazione che sfiora i 100 mila residenti, in gran parte di origine marocchina, con il reddito pro-capite fra i più bassi del Belgio e con un tasso di disoccupazione giovanile fra i più alti d’Europa (intorno al 40%). Un angolo di città poco frequentato dagli abitanti di Bruxelles, anche per la sua pessima reputazione di quartiere «poco raccomandabile» e sede di ogni traffico illegale. Non ultimo come luogo di reclutamento dei foreign fighters, come la stampa belga sembra confermare in questi giorni.
Il canale fluviale della città, linea di demarcazione geografica e sociale della città, traccia le due Bruxelles. A sud il centro turistico, il quartiere europeo e le ricche comuni che lo circondano, piene di caffè, di ristoranti, di cinema e di teatri. A nord i quartieri più poveri, a forte concentrazione d’immigrati, soprattutto di lingua araba, con i caffè di quartiere, spesso frequentati da soli uomini, le macellerie halal e lo spettro della delinquenza, di cui naturalmente Molenbeek è tristemente capofila.
Un comune in cui l’attaccamento alla tradizione d’origine e il senso d’appartenenza in seno alla realtà belga, fortemente multi-culturale, multi-linguistica e cosmopolita, convivono e si sovrappongono. Una realtà sociale in cui radicalizzazione e integrazione hanno creato una rete associativa solida e vivace, capace non solo di creare lavoro sui temi dell’integrazione, ma anche di valorizzare quella mixité sociale che caratterizza un po’ tutto il tessuto urbano e sociale della città di Bruxelles.
Non è forse un caso che la storia di Molenbeek sia stata caratterizzata da grandi flussi migratori. Polo industriale a cavallo fra XIX e XX secolo, fra i più importanti della capitale belga, e per questo luogo di incontro delle due comunità linguistiche nazionali, quella franconfona e quella fiamminga. Luogo d’accoglienza di «agitatori politici» e di anarchici (spagnoli, italiani e soprattutto francesi) in esilio dai paesi d’origine. Infine, sede della massiccia migrazione di lavoratori e operai di origine nord africana, soprattutto marocchina in seguito agli accordi del 1964 fra il governo del Marocco e quello del Belgio, per favorire l’afflusso di lavoratori da impiegare nei settori meno specializzati.
È passato appena un anno dalle celebrazioni pubbliche dei 50 anni dell’immigrazione di origine marocchina (1964-2014), che hanno dipinto Molenbeek come esempio di un processo d’integrazione culturale di successo. I fatti recenti sembrano però aver ribaltato la realtà. Le immagini che ci mostrano una Molenbeek blindata, invasa dalle forze dell’ordine alla ricerca di presunte cellule terroristiche autrici degli attentati di questi giorni a Parigi, mortificano la comunità araba, suo malgrado sotto gli occhi dei riflettori. Gli atti di denuncia e di sgomento verso i recenti attacchi terroristici sono convinti e unanimi, ma spesso confinati alla sfera privata e raramente a quella pubblica.
Un atteggiamento che rischia di essere frainteso come un implicito atto di favoreggiamento anche solo morale, ma che in realtà nasconde spesso un senso del pudore, a volte forse vera e propria vergogna, da parte di quelle comunità che hanno duramente lavorato per conquistare diritti e benessere sociale.
Il legame con i tristi fatti di questi giorni e il territorio di Molenbeek sembrano mettere in discussione il processo d’integrazione tout court.
Ad essere omessa è la realtà quotidiana di queste periferie sociali, piuttosto che geografiche, costrette a fare i conti con la stigmatizzazione culturale, nonché con le politiche di austerità che in Belgio iniziano lentamente a farsi sentire, soprattutto nelle fasce più deboli della società. Le realtà come quella di Molenbeek sembrano soffrire particolarmente questa condizione, fra nuove forme di povertà, tagli alla spesa pubblica ed un processo di gentrification di grandi proporzioni che ne sta completamente compromettendo il tessuto urbanistico e sociale. In questo panorama a soffrire maggiormente sono proprio quelle giovani generazioni, facilmente affascinate dalla retorica cosiddetta integralista.