Promette l’uso del pugno di ferro contro “chi si fa giustizia da solo” Yitzhak Aharonovitch, ministro israeliano per la pubblica sicurezza. Si riferisce ai palestinesi israeliani di Kalanswa, Taibe, Tira, Baqa al Gharbiye, nella bassa Galilea, che venerdì notte hanno protestato con violenza per l’assassinio a Gerusalemme del 16enne Mohammed Abu Khdeir, bloccando incroci stradali e attaccando gli automobisti ebrei israeliani. Un tono che il ministro non usa quando parla degli assassini di Abu Khdeir o in riferimento agli agenti di polizia che, sempre a Gerusalemme, due giorni fa hanno ferito gravemente a calci e pugni un altro adolescente palestinese, Tareq Abu Khdeir, 15 anni e cugino di Mohammed. Il ragazzo, con passaporto statunitense e che vive a Tampa in Florida, si trova in vacanza in Palestina dall’inizio di giugno. E’ rimasto nelle mani della polizia israeliana per cinque ore prima di essere portato all’ospedale. Tareq, raccontano i parenti, era andato a fare visita allo zio a Shuafat, in un momento in cui la zona era tranquilla, quando due poliziotti israeliani lo hanno fermato, prendendolo violentemente a calci e a pugni senza apparente motivo.

 

Una versione che sembra trovare conferma in un video (https://www.youtube.com/watch?v=HDENWwEDGr4&app=desktop) che sta facendo il giro della rete, assieme alle foto in cui si vede il ragazzo con delle gravi tumefazioni sul volto. Filmato che per il portavoce della polizia Micky Rosenfeld, sarebbe “montato e non obiettivo”. A metà maggio le autorità israeliane definirono un “montaggio” anche il video, girato da telecamere di sorveglianza e diffuso da “Defence for Children International”, sull’uccisione di Nadim Nuwara e Muhammah Abu al-Thahir, di 15 e 17 anni, centrati al torace dalle pallottole sparate dai soldati di guardia alla prigione militare di Ofer (Ramallah) durante la commemorazione della Nakba, mentre non stavano compiendo alcun atto violento. Per Tareq Abu Khdeir oltre al danno la beffa: è stato arrestato, a quanto pare per “resistenza a pubblico ufficiale”, e oggi sarà processato.

 

Il volto tumefatto, le labbra gonfie come canotti di Tareq, sono sconvolgenti come i risultati dell’autopsia sul corpo del cugino. I medici hanno riscontrato fuliggine nei polmoni di Mohammed Abu Khdeir e nel tratto respiratorio, a dimostrazione che era ancora vivo mentre è stato dato alle fiamme. Ha una ferita alla testa ma la morte è dovuta al rogo, hanno accertato gli esperti all’Istituto legale di Abu Kabir (Tel Aviv) in presenza del perito palestinese Sabir al-Aloul, direttore dell’Università Al Quds. La polizia israeliana non si sbilancia, sostiene che le circostanze dietro l’omicidio del ragazzo palestinese restano al momento non chiare. La famiglia della vittima al contrario ribadisce che i responsabili dell’omicidio sono israeliani che hanno voluto vendicare l’uccisione dei tre ragazzi ebrei trovati morti lunedì scorso in Cisgiordania. La tesi del “delitto d’onore” o della “faida tra famiglie” diffusa da alcuni siti web nei giorni scorsi sarebbe smentita proprio dalla brutalità dell’omicidio. I parenti di Mohammed ne sono convinti: solo chi nutre un odio profondo, razziale e politico, può arrivare a bruciare vivo un ragazzo di 16 anni.

 

I risultati dell’autopsia sul corpo di Mohammed e il pestaggio di Tareq alimentano la tensione, non solo a Gerusalemme. L’altra sera l’ondata di sdegno tra i palestinesi è arrivata fino ai centri arabi della bassa Galilea, a ridosso della “linea verde” che fino al 1967 divideva Israele dalla Cisgiordania. A Kalanswa, Baqa el Gharbiye, Taibe e Tira è divampata una mini Intifada. Giovani con il volto coperto hanno bloccato strade, bruciato copertoni e alzato barricate con i cassonetti dei rifiuti. Una protesta che, ad un certo punto, ha visto i dimostranti bloccare e dare alle fiamme un paio automobili guidate da ebrei israeliani. La polizia è intervenuta con forza per disperdere i manifestanti e ora il ministro Aharonovitch minaccia la mano pesante contro i colpevoli.

Lo sdegno per l’orribile fine subita da Mohammed Abu Khdeir si è saldato con la frustrazione e la rabbia di chi vive nei centri abitati arabi della bassa Galilea, tra i più poveri di Israele. Città e villaggi dove regna il degrado, con scarsi servizi sociali. Dormitori per masse di disoccupati e manovali non qualificati dove la criminalità, i traffici illeciti e lo spaccio delle droghe pesanti sono il primo datore di lavoro. Le autorità hanno sempre guardato con timore alla saldatura tra le rivendicazioni dei palestinesi discriminati e cittadini di serie B in Israele e l’ansia di libertà dei palestinesi sotto occupazione in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Ecco perchè il ministro Aharonovitch minaccia il pugno di ferro. Agli inizi di ottobre del 2000, 13 palestinesi di Israele furono uccisi dal fuoco indiscriminato della polizia durante le proteste in Galilea provocate dallo sdegno per la “passeggiata” sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme dell’ex premier (scomparso a inizio anno) Ariel Sharon che aveva innescato la seconda Intifada palestinese.

 

Dopo la giornata di venerdì, segnata da scontri violenti tra palestinesi e polizia a Gerusalemme e in Cisgiordania, seguiti ai funerali di Mohammed Abu Khdeir, quella di ieri è stata una giornata relativamente meno tesa. Giovani palestinesi hanno continuato le proteste in diverse località ma l’esercito e la polizia hanno contenuto la loro risposta. A Gaza, dove da ieri regna una calma irreale dopo l’affievolirsi delle minacce di attacco da parte di Israele – non è chiaro se sia in vigore il cessate il fuoco non dichiarato di cui si parlava venerdì, ieri sera Israele ha effettuato un raid aereo su Gaza e i miliziani palestinesi hanno lanciato un razzo verso Bersheeva – Hamas ha fatto sapere che sta considerando “alternative amministrative” con altri gruppi politici alla luce della “passività” del governo di consenso nazionale con Fatah. Ahmad Yusef, un consigliere dell’ex premier islamista Ismail Haniyeh, ha spiegato che pesa anche il mancato pagamento dei salari dei dipendenti dei ministeri del disciolto governo di Hamas. La riconciliazione forse non è finita del tutto ma l’esecutivo di unità nazionale del premier Rami Hamdallah nato a inizio giugno è già giunto ai suoi ultimi giorni di vita, senza aver mai governato.