Un regalo di benvenuto al potente erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, atteso oggi al Cairo. Potremmo definire in questo modo il colpo di spugna con cui l’Alta Corte costituzionale egiziana ha annullato i verdetti della magistratura locale sul contestatissimo “accordo dell’isola”, che prevede il trasferimento della sovranità dall’Egitto all’Arabia saudita sulle isolette strategiche di Tiran e Sanafir nel Mar Rosso. Una sentenza senza precedenti. La massima corte egiziana di regola approva un verdetto contro un altro, in questo caso li ha cancellati tutti. Cosa non farebbe il presidente Abdel Fattah el Sisi per compiacere il giovane rampollo reale venuto ad omaggiarlo tre settimane prima delle elezioni che lo vedranno certamente rieletto. Senza dimenticare che l’economia egiziana resta attaccata alla bombola d’ossigeno degli aiuti di Riyadh, malgrado le promesse faraoniche di el Sisi legate allo sfruttamento dei giacimenti di gas e del canale di Suez. La consegna delle isolette potrebbe avvenire proprio durante la visita di Bin Salman. Il rampollo reale in questo modo avrà il via libera al progetto di trasformare una parte della costa saudita sul Mar Rosso in un enorme resort turistico, collegato al Sinai egiziano forse con ponti che potrebbero passare anche per Tiran e Sanafir.

Sono tanti e non solo economici i temi di questa visita in Egitto di Bin Salman, atteso a Londra mercoledì, dove incontrerà la premier Theresa May, e poi negli Stati Uniti dal 19 al 22 marzo dove potrebbe firmare con l’Amministrazione Trump un accordo di cooperazione nucleare. Riyadh quest’anno dovrebbe annunciare chi costruirà i primi due dei 16 reattori atomici che ha in programma e sono in corso trattative con gli Usa per l’acquisto delle tecnologie necessarie. C’è poi l’offerta pubblica di Aramco, il gigante petrolifero gioiello della dinastia saudita, di cui Bin Salman vorrebbe vendere il 5%.

Riyadh e il Cairo collaborano su importanti questioni regionali, tra cui la guerra nello Yemen e l’isolamento arabo del Qatar, entrambi voluti proprio da Bin Salman di fatto già al potere. Il principe ereditario lo scorso novembre ha lanciato una “campagna anticorruzione” – in realtà contro i suoi oppositori – che ha visto finire in manette centinaia di cittadini sauditi, tra i quali principi, importanti uomini d’affari, ex ministri e alti funzionari governativi. La scelta del Cairo come prima visita ufficiale all’estero è una riaffermazione della stretta cooperazione tra i due Paesi anche se el Sisi non poche volte ha provato a sottrarsi, in parte, alla pesante tutela saudita, per poi fare retromarcia. Non è un mistero che il Cairo guardi al futuro della Siria in un modo diverso da Riyadh che sta facendo di tutto, con armi e fondi per i ribelli jihadisti, per provocare la caduta del presidente Bashar Assad. E lo stesso vale per le relazioni con l’Iran, che l’Egitto vorrebbe meno conflittuali. Sul Qatar invece la posizione è simile. El Sisi e i regnanti sauditi accusano Doha di sostenere i Fratelli Musulmani, movimento che considerano “terrorista”.

Oltre a nuovi investimenti, dopo quelli per diversi miliardi di dollari già garantiti due anni fa dall’Arabia saudita, el Sisi vuole un appoggio più forte di Riyadh nei confronti dei progetti di Paesi “ostili”, come l’Etiopia e la Turchia, che vanno contro gli interessi dell’Egitto. Ankara, spinta dalle ambizioni di Erdogan, cerca di rimettere piede nel Mar Rosso come ai tempi dell’impero Ottomano. L’Etiopia, incurante delle proteste del Cairo, procede nella costruzione sul Nilo della Gerd, la Grand Etiopian Renaissance Dam, e nei giorni scorsi ha consegnato all’Egitto un piano per il riempimento della diga che è stato accolto con gelo dal regime di el Sisi. Infine nell’agenda del viaggio c’è anche la questione palestinese. Il Cairo e Riyadh, nei piani di Washington, sono chiamate a fare pressioni sul presidente dell’Anp Abu Mazen affinché accetti il cosiddetto “Accordo del secolo” di Donald Trump.