Le condizioni dell’avvocato palestinese Mohammed Allan, incarcerato lo scorso novembre da Israele e in sciopero della fame da due mesi, erano peggiorate qualche giorno fa. Ieri mattina ha perduto coscienza, facendo temere il peggio. Nel pomeriggio i medici dell’ospedale Barzilai di Ashkelon, dove Allan è ricoverato da alcuni giorni, sono riusciti a stabilizzare le sue condizioni. Ma in serata era cosciente solo in parte. La notizia ha subito fatto il giro dei Territori occupati palestinesi suscitando reazioni forti. A cominciare dal Jihad Islami, organizzazione di cui Allan sarebbe un simpatizzante o, come sostiene Israele, un militante a tutti gli effetti. Sino ad oggi però i servizi segreti israeliani non hanno prodotto alcuna prova concreta a sostegno di questa tesi. «Dovesse morire Allan, il Jihad reagirà con forza e non si sentirà più vincolato ad alcun accordo per il mantenimento della calma», ha fatto sapere l’organizzazione islamista, rivolgendosi non solo al governo Netanyahu ma anche ad Hamas che, stando alle voci che girano, avrebbe raggiunto dietro le quinte un’intesa con Israele per evitare nuove escalation belliche. Un accordo che il movimento islamico ha imposto alle altre formazioni palestinesi presenti a Gaza.

 

Il caso di Mohammed Allan è seguito da tutta la popolazione palestinese. Manifestazioni e raduni si sono svolti ovunque. Venerdì mattina a Gerusalemme, durante le preghiere islamiche, decine di palestinesi hanno scandito slogan sulla Spianata delle moschee per chiedere la sua liberazione immediata. Altri si sono radunati davanti all’Ospedale Barzilai. Per contrastare le proteste palestinesi è scesa in campo la destra israeliana più radicale. Mercoledì scorso un leader dei coloni, Baruch Marzel, ha guidato una contromanifestazione per bloccare 200 avvocati palestinesi che in strada, poco lontano, esprimevano solidarietà al loro collega.

 

Originario di Einabus (Nablus), Allan attua uno sciopero della fame totale da 60 giorni, per protestare contro la “detenzione amministrativa”, senza processo e capi di accusa precisi, che lo tiene in carcere in Israele dallo scorso novembre. Ha rifiutato qualsiasi trattamento medico, vitamine o minerali, spiegando che l’unica cosa di cui ha bisogno è la libertà. Una nuova legge approvata dalla Knesset permetterebbe al governo di chiedere al personale medico del Barzilai di alimentarlo con forza. Ma il comitato etico dei medici israeliani si oppone ad una misura che i centri per i diritti umani descrivono come una forma di tortura. Per questo al Barzilai non sono andati oltre la somministrazione endovenosa di farmaci salva-vita e soluzioni saline che non lo hanno alimentato, rispettando il volere che il detenuto aveva espresso nei giorni scorsi. Le condizioni di Mohammed Allan restano critiche, la madre lo considera già uno shahid, un “martire”. Ha perduto in parte la vista a causa del lungo digiuno. Dovesse morire in carcere, i Territori palestinesi occupati si trasformeranno in campi di battaglia.