Da ieri in India è iniziata la fase «Unlock 1.0», il primo passo verso una riapertura graduale del subcontinente dopo due mesi di lockdown. Sviluppo annunciato a grandi linee alla fine di maggio dal governo centrale, incoraggiando una progressiva riapertura nella speranza di rianimare un’economia nazionale gravemente colpita dagli effetti collaterali del Covid-19.

I numeri del contagio sono tutt’altro che incoraggianti. La curva della diffusione del virus è stabilmente in parabola ascendente, con quasi 260mila casi complessivi registrati dal 4 marzo.

Al momento, secondo i dati del ministero della sanità, si contano in tutto il paese più di 125mila casi attivi, 7135 morti e poco più di 124mila guariti.

Nonostante l’India sia a oggi il nono paese più colpito dalla pandemia a livello globale, si è deciso di provare a riaprire. Ma alla spicciolata, in virtù della forte autonomia garantita ai governi locali, che hanno avuto l’ultima parola su come e quando allentare le misure restrittive in vigore.

A Delhi, ad esempio, via libera per luoghi di culto, ristoranti e centri commerciali, ma non per gli hotel; idem in Uttar Pradesh – Stato che comprende la città sacra di Varanasi – ma con un massimo di cinque persone per volta ammesse all’interno di templi e moschee solitamente traboccanti di fedeli. Templi e ristoranti rimarranno invece chiusi in Odisha, almeno fino al 30 giugno, mentre in Maharashtra – dove si trova Mumbai – il governo locale non ha ancora deciso sul da farsi.

In Bengala occidentale il lockdown è stato ufficialmente prorogato di altri 15 giorni, fino a fine mese, con coprifuoco dalle nove di sera alle cinque di mattina. Sono però ripartiti le industrie di juta, tè e l’edilizia, il trasporto pubblico, i centri commerciali, i ristoranti e il terziario, mentre nei luoghi di culto saranno ammesse fino a 25 persone contemporaneamente (prima il limite era 10).

Il governo centrale presieduto da Narendra Modi si è limitato, per il momento, a dare linee guida sui generis come lavarsi mani e piedi prima di entrare al tempio, distanziare i tavoli nei ristoranti, provare la febbre agli ospiti di strutture alberghiere.

I detrattori dell’amministrazione Modi, denunciando la gestione disastrosa di un contagio che non accenna a diminuire dopo due mesi di lockdown, non hanno mancato di notare un cambio strategico nella comunicazione del primo ministro.

Il 3 giugno scorso, su ThePrint.in, Shivam Vij ha evidenziato come il premier, un tempo mediaticamente sugli scudi nella «battaglia contro il virus», stia ora lasciano ben volentieri l’onere pubblico delle cattive notizie alle retrovie della sua squadra di governo.

Strategia, secondo Vij, per preservare la sua immagine di leader carismatico e «vincente» per un futuro prossimo in cui si parlerà sempre meno di Covid-19 e sempre più di elezioni locali, con un occhio alla tornata locale in Bihar prevista per ottobre.

«Ma prima – scrive Vij – c’è la Giornata Internazionale dello Yoga (21 giugno, ndr). Modi vuole che partecipiate a un video blogging contest, mostrando le vostre posizioni di yoga».