Indossando i panni del leader bonario e spirituale, nella giornata di ieri il primo ministro indiano Narendra Modi ha pronunciato il discorso di apertura del World Economic Forum (Wef) 2018, in corso in questi giorni nella località svizzera di Davos.

MODI È IL SECONDO PREMIER indiano ad aprire il summit, dopo Deve Gowda nel 1997. All’epoca, ha spiegato Modi, «il Pil indiano ammontava a 400 miliardi di dollari mentre oggi vale più di sei volte tanto». La parabola dell’irresistibile e ineguagliata crescita indiana contemporanea, stimata dal Fondo monetario internazionale (Fmi) al 7,4 per cento per il 2018, per Modi riflette pienamente lo slogan della campagna elettorale del 2014: «Sabka Saath, Sabka Vikas», «Tutti insieme, Progresso per tutti», la bussola che ha guidato «tutte le politiche adottato dal governo. Dall’apertura dei conti correnti per tutti gli indiani, assicurando loro inclusione finanziaria, passando per l’inclusione digitale e la giustizia di genere. Il progresso – ha scandito Modi – è vero solo quando aiuta tutti, e tutti possono aggiungersi al cammino che stiamo compiendo».

A MISURA della distanza tra le parabole modiane date in pasto all’uditorio internazionale e la verosimiglianza con la realtà indiana, solo ventiquattro ore prima lo stesso Wef aveva divulgato la classifica annuale dell’Inclusive Development Index, dove l’India figura al 62esimo posto (su 74) tra le economie emergenti, dietro Cina (15esima), Pakistan (52), Sri Lanka (40), Bangladesh (34), e Nepal (22), solo considerando i vicini di casa. In un altro passaggio, Modi ha rivendicato successi in campo di «innovazione e impresa, tali da fare dei giovani indiani non più dei ricercatori di lavoro, ma creatori di posti di lavoro», glissando sul problema macroscopico della «jobless growth» che nel paese, lo scorso anno, ha portato alla creazione di soli 500mila nuovi posti di lavoro, dato peggiore degli ultimi otto anni. Rispondendo a una simile domanda posta durante una recente intervista «in ginocchio» trasmessa dall’emittente indiana Times Now, Modi era riuscito a rivendicarsi come «nuovi posti di lavoro creati dalle politiche del governo» i banchetti del té e dei fritti disseminati in tutto il paese, «che guadagnano anche solo 200 rupie (meno di tre euro, ndt) al giorno», scatenando l’ironia amara dei social network indiani.

TOCCANDO TEMATICHE di più ampio respiro internazionale, Modi ha esortato i leader mondiali a unirsi per superare gli ostacoli comuni che intralciano il progresso globale, elencando i tre più ingombranti.

I cambiamenti climatici, che vedono l’India impegnata in prima fila nell’applicazione dei protocolli di Parigi per la riduzione delle emissioni. «Tutti diciamo che le emissioni devono essere ridotte, ma quanti paesi sviluppati hanno aiutato i paesi in via di sviluppo offrendo le tecnologie per farlo?» ha chiesto retoricamente Modi.

SUL TERRORISMO, il premier indiano non si è lasciato scappare l’occasione di una stoccata al Pakistan, sottolineando l’importanza di «non fare distinguo tra terroristi “buoni” e terroristi “cattivi”»; mentre sul terzo, «il crescente egoismo nel mondo», Modi ha rilevato che «la globalizzazione si sta restringendo» e che «alcune potenze mondiali non vogliono solo adombrarla, ma vogliono bloccarla. Ad esempio, con nuovi dazi sulle esportazioni».

Una frecciatina, nemmeno troppo velata, al presidente degli Stati Uniti Donald Trump, presunto «grande amico» del primo ministro indiano nonostante le recenti rivelazioni pubblicate dal Washington Post: secondo il quotidiano statunitense, Trump avrebbe riportato il contenuto di una conversazione con Modi a membri del suo staff «imitandone l’accento indiano».

LONTANO DAI TONI GLOBALI del presidente cinese Xi Jinping, che a Davos lo scorso anno proiettò la Cina come portabandiera della globalizzazione, Modi ha concluso invitando tutti a «venire in India», facendo eco al programma governativo di attrazione di investimenti esteri «Make in India».