Un’azienda biotecnologica sudafricana, la Afrigen di Città del Capo, ha realizzato un suo vaccino a mRna utilizzando le informazioni pubblicamente disponibili sul vaccino Moderna. Non è una copia pirata, assicura però la direttrice Petro Terblanche alla Reuters: «abbiamo sviluppato la nostra tecnologia perché Moderna non ha voluto darci la sua». Per realizzare il primo vaccino africano a mRna, però, è stato decisivo conoscere la sequenza genetica dell’antigene utilizzato nel vaccino Moderna. L’azienda in un primo tempo aveva provato a brevettare la sequenza. In aprile, tuttavia, un gruppo di ricercatori dell’università di Stanford l’aveva ricostruita a partire dalle fiale smaltite dopo le vaccinazioni e l’aveva resa pubblica. «Siamo partiti dalla sequenza di Moderna perché a nostro avviso fornisce il miglior materiale di partenza» spiega Terblanche. «Ma questo non è il vaccino Moderna, è il vaccino Afrigen».

PER REALIZZARE un vaccino anti-Covid però serve infatti molto altro, oltre al codice genetico: dai composti che permettono di stabilizzare la molecola di Rna e incapsularla in modo da farla arrivare nelle cellule, alle tecniche di produzione su scala industriale. Conoscenze oggi a disposizione solo di pochissime aziende come Pfizer, BioNTech e Moderna.
Proprio a queste l’Oms si era rivolta nello scorso settembre, al momento di dare vita in Sudafrica a un centro (o «hub») dedicato al trasferimento tecnologico nel campo dei vaccini a mRna. L’«hub» raccoglie le informazioni necessarie alla produzione di un vaccino anti-Covid e le mette a disposizione dei paesi a basso reddito intenzionati ad avviare una produzione locale dei vaccini. Vi collaborano aziende come la Afrigen, più università locali e centri di ricerca internazionali. Pfizer e Moderna, che quelle preziose informazioni le detengono già, non hanno voluto aderire al progetto pur di difendere un duopolio di fatto che ha garantito complessivamente oltre cinquanta miliardi di dollari di ricavi alle due aziende nel solo 2021.

Così la Afrigen, specializzata nella produzione degli ingredienti dei vaccini, ha dovuto far da sé, facendo leva su mesi di lavoro e sui fondi arrivati dall’Oms, e dall’Unione europea. Tempo e risorse che si sarebbero potuti risparmiare se Moderna avesse dato una mano. Martin Friede, che coordina il progetto dalla sede Oms di Ginevra, non dispera che l’azienda a un certo punto decida di farlo e mantiene un canale di dialogo. «Non posso dire di più. Le linee di comunicazione sono aperte», ha detto Friede a Politico.
I primi micro-litri del vaccino Afrigen sono stati prodotti in questi giorni. Per le prime somministrazioni alla popolazione, però, si dovrà aspettare ancora. Per completare i test clinici di sicurezza e di efficacia, che non inizieranno prima di novembre, potrebbero servire anche tre anni: con altri vaccini disponibili, oggi reclutare decine di migliaia di volontari disposti a riceverne uno sperimentale è molto più difficile che nel 2020.

SE MODERNA collaborasse, grazie alle autorizzazioni già ricevute l’attesa potrebbe scendere a un anno. Ma l’obiettivo dell’hub è di lungo periodo: sviluppare nuovi vaccini a mRna di seconda generazione contro il Covid-19 e altre malattie (Tbc, Hiv, malaria), che non necessitano della conservazione a bassa temperatura come quelli attuali. E quindi assai più adatti per le campagne vaccinali nei paesi a basso reddito, dove la catena del freddo è difficile da garantire. L’hub africano ha già stretto collaborazioni con la locale Biovac, che si occuperà della produzione industriale, e con altre due aziende in Brasile e Argentina.