Era fine settembre e siamo scesi a Riace a realizare un reportage. Questa era la situazione appena prima dell’arresto del sindaco Lucano. Un colorato murales nel centro di Riace ricorda i millenni di migrazioni che hanno interessato questo piccolo paese della Calabria più profonda, nel Sud Italia, il quale fu parte dal VIII secolo a.c. della Magna Grecia. Un luogo ben rappresentativo dell’Italia intera e della sua storia, da sempre, come centro del Mediterraneo, terra di arrivi e di partenze di uomini. Gli stessi antichi greci consideravano l’Italia soltanto la parte più estrema della penisola, ma a scapito di questa origine linguistica, oggi questa area desolata e poco sviluppata che si affaccia sul Mar Ionio, ricca di cultura e di paesaggi bucolici, è vittima dallo spopolamento, dalla speculazione edilizia sulla costa e dallo strapotere della ‘ndrangheta, la criminalità organizzata.
IL PRIMO SBARCO
Solo camminando nell’intreccio di vicoli di questi agglomerati semi-abbandonati addossati sulle montagne, edificati per fuggire dalla malaria e dalle scorrerie piratesche sulle coste, ci si accorge che la mentalità è differente da quella che nell’ultimo anno ha portato al potere in Italia la Lega di Matteo Salvini. Un partito di estrema destra, il quale ha costruito esclusivamente il proprio consenso sulla paura dell’immigrazione e degli sbarchi clandestini. Il primo sbarco qui avvenne nel 1998, quando sulla spiaggia di Riace Marina, la stessa dove furono ritrovate le famose statue in bronzo, si arenò una barca con un centinaio di persone di etnia curda. Da allora sono arrivati e hanno transitato altri migranti di diverse nazionalità, del Centro Africa e del Medio Oriente soprattutto, tanto che molti tra questi hanno scelto di restare e di diventare residenti a pieno titolo, divenendo parte inscindibile e ben integrata della zona. Nel 1999 Domenico Lucano, ex maestro elementare e attuale sindaco, ha fondato a Riace l’associazione «Città Futura» dando vita ad un progetto di accoglienza «diffusa» avente come scopo il coinvolgimento dei rifugiati all’interno di una comunità rurale che sarebbe stata destinata a scomparire. Le associazioni presenti nel paese insieme alla giunta attuale hanno ripulito e ristrutturato strade e case in rovina, realizzato laboratori artigianali che riprendono mestieri dimenticati, aperto botteghe, biblioteche e bar, mantenuto in vita asili e scuole, nonché creato fattorie didattiche, orti e frantoi, facendo rinascere il borgo, dando lavoro e nuove opportunità sia ai locali che ai migranti. Un esempio divenuto virtuoso in tutta Europa, così da far affluire in questo luogo prima sconosciuto, visitatori, studiosi, artisti e personalità del mondo culturale.
L’esperienza di Riace rischia però ugualmente di esaurirsi, poiché a causa di presunte criticità nella rendicontazione delle spese, il Ministero degli Interni ha bloccato da due anni i fondi europei per il mantenimento del progetto Sprar – Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati -, e nel 2018 non è stata inclusa tra gli enti beneficiari dello stesso. A ciò si è aggiunta anche l’ostilità personale e politica del nuovo vicepremier Matteo Salvini, il quale più volte ha attaccato il sindaco Lucano, tanto da far sorgere in molti cittadini il sospetto che vi sia un preciso intento di affossare il «modello Riace». Con il ritardo dei pagamenti il comune ha dichiarato il dissesto finanziario, accumulando un ingente debito di 2 milioni di euro con il personale assunto dalle associazioni e con i fornitori, oltre a paventare il pericolo di mettere in strada i 165 richiedenti asilo presenti, almeno 50 bambini in gran parte nati nel comune, circa 80 operatori, e la chiusura di numerose attività commerciali. Per protesta i riacesi insieme all’amministrazione comunale hanno promosso uno sciopero della fame e dovuto sospendere le attività di tutti i laboratori e delle botteghe che prima producevano ricami, ceramiche, aquiloni e vetro.
DOMENICO LUCANO
Nella piazza centrale dove vengono organizzate assemblee e incontri aperti al pubblico, non era raro incontrare il sindaco Domenico Lucano – il 2 Ottobre arrestato dalle autorità con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti – seduto da giorni in attesa sugli scalini della Taverna Donna Rosa: «Stanno distruggendo il paese, rischiamo che chiuda tutto, asilo compreso. Potremmo continuare anche senza i fondi europei come progetto indipendente che si auto sostiene, ma due anni sono troppi e abbiamo accumulato troppi debiti». Le medesime parole di ansia e terrore sono ripetute da tutti gli abitanti del paese, dagli ultimi venuti per esprimere solidarietà sino ai proprietari degli esercizi commerciali, i quali molto spesso hanno esposto in vetrina il cartello «Anch’io sostengo Riace». Mimma, una donna di circa 50 anni che gestisce un alimentari, ripete che «il blocco dei finanziamenti, è pari ad aver subito un lutto» e aggiunge che «i migranti ci hanno insegnato a vivere. Quando ne arrivano di nuovi si sentono subito a casa, ed è come se avessero sempre abitato qui con noi». Sono le prefetture infatti che tramite il Ministero dell’interno smistano nei vari comuni i richiedenti asilo, e Riace si è spesso distinta per la richiesta di ospitare volontariamente le persone sbarcate con malridotti barconi sulle coste della Sicilia, dopo mesi di attraversamenti nel deserto e permanenza nei campi di prigionia della Libia, specie coloro più in difficoltà. Come nel caso di Mohamed, un signore iracheno di origine palestinese di 64 anni fuggito dopo la caduta di Saddam Hussein, con una disabilità accertata, in paese è un volto ben noto e come gli altri migranti ha a disposizione una casa indipendente e un bonus di 260 euro al mese che potrebbe a breve non ricevere più. Bayram, un curdo di 65 anni, invece è arrivato in Calabria dalla Turchia con il primo sbarco del 1998 da allora si è innamorato di questi luoghi che tanto ricordano le altre sponde dello Ionio e dopo aver svolto varie attività lavorative si è stabilito nel piccolo borgo. Negli anni ha contribuito a rimettere in sesto i terrazzamenti del Parco Sara – dedicato a una portatrice d’acqua vissuta nella metà del secolo scorso – ricoperti di vitigni, olivi, alveari per la produzione del miele e agrumeti, e attualmente oltre a lavorare il legno svolge servizio come autista per portare anziani o migranti alle visite ospedaliere o a fare la spesa. Antonio, un ragazzo riacese di 29 anni era uno dei suoi aiutanti nella falegnameria, siede anche lui nervoso insieme agli altri operatori in protesta nella speranza che i fondi vengano sbloccati e possa tornare anche lui a lavorare «chi ostacola questo modello, dovrebbe vedere come era Riace venti anni fa, quando non c’era assolutamente niente e l’unico evento era la festa patronale, i giovani erano costretti ad emigrare, cosa che probabilmente dovrò fare anche io il prossimo anno». Nel 2019 scadrà anche il secondo mandato di Domenico Lucano, il quale non si potrà candidare nuovamente per le elezioni amministrative. La Lega sta cercando di insediarsi anche in questo comune, come nel resto del Meridione, nonostante sia nato come un partito secessionista del Nord Italia che si identificava sovente nell’ostilità verso i meridionali che migravano nel Settentrione industrializzato per mancanza di lavoro. «Prima eravamo noi che partivamo per le città del Nord o per l’Australia, adesso sono loro che arrivano» ricorda Raffaele, un contadino locale che tutti i pomeriggi vende la frutta che raccoglie nel proprio appezzamento di terra. L’effetto di questo esodo è ben visibile nelle numerose case sfitte e fatiscenti di Riace alta, o in quelle incompiute e spesso abusive, costruite disordinatamente sul litorale, tanto da attribuire al fenomeno il nome di «architettura del non finito». «Quelle costruzioni vengono tirate su il più delle volte da coloro che sono migrati in altri luoghi, nell’illusione di lasciarle alle generazioni future o da persone che speravano prima o dopo di tornare in vista di nuove prospettive di lavoro» racconta Rina, una giovane regista e antropologa calabrese ma anche lei romana di adozione «con la partenza dei più giovani, sono mancate generazioni che potevano contrastare la criminalità organizzata e la classe politico-imprenditoriale ad essa correlata». Specialmente agli inizi dell’attività di Lucano, anche le associazioni coinvolte nell’accoglienza dei migranti hanno ricevuto intimidazioni da parte della ‘Ndrangheta locale, come lettere contenenti minacce o raffiche di proiettile cui i fori sono ancora ben visibili sulle vetrine di alcune botteghe. Proprio davanti ad una di queste, Malang, un ragazzo Mandingo di 34 anni, pulisce la strada con una scopa di paglia, insieme a Damiano, un altro addetto assunto dal comune.
Malang ha studiato Agricoltura all’Università del Gambia e da due anni è a Riace, oltre ad elogiare l’accoglienza dei calabresi racconta che la raccolta dei rifiuti porta a porta viene effettuata anche con l’ausilio degli asini «ne abbiamo soltanto uno per adesso ma ne dovevano arrivare altri».
CAMINI
A Camini, un altro borgo medievale a 3 chilometri da Riace è stato realizzato un sistema di accoglienza diffusa affine a quello del comune attiguo, che però a differenza di quest’ultimo continua a ricevere i finanziamenti Sprar. Ai 250 abitanti si sommano 120 richiedenti asilo, in gran parte siriani, seguiti per sei mesi in un percorso di inserimento gestito dall’Associazione Jungi Mundi di Rosario Zurzolo, attiva dal 2014. Un progetto aperto sia a locali che a migranti che si articola in botteghe e laboratori artigianali sparsi per tutto il paese. Anche qui la scuola elementare rischiava di chiudere per mancanza di alunni e molte abitazioni sono state ristrutturate per ospitare i rifugiati. «Quando termina il progetto, molti ragazzi vorrebbero restare, purtroppo non sempre è possibile, perché le case rimesse a nuovo sono ancora troppo poche» spiega Katia, un’operatrice che da Verona ha deciso di trasferirsi in questo piccolo comune. Vanessa, una neolaureata in legge, che oltre alle pratiche burocratiche per le richieste di asilo da presentare alle prefetture, si occupa anche dell’alfabetizzazione dei minori racconta invece che alcuni rifugiati sono restii ad imparare l’italiano, perché oltre alla difficoltà della lingua, si aggiunge la sicurezza di tornare in Siria al più presto, a guerra conclusa. Non è questa l’intenzione di Omar, un ragazzo di 30 anni della Costa d’Avorio qui da quattro, che insieme al muratore e falegname Pino ha imparato a restaurare con lo scalpello le vecchie case di pietra del paese.
Tra questi luoghi immemori e dimenticati sembra che si stia costruendo una nuova umanità, così lontana dalla propaganda che dilaga in TV e nei social network dove l’immigrazione è raccontata solo come fonte di conflittualità. Il loro futuro resta però incerto considerando il clima politico attuale e le problematiche burocratiche che hanno travolto il modello d’accoglienza realizzatosi a Riace. Ma questo probabilmente i bambini di origine «straniera» che si rincorrono nel nuovo campetto di calcio gridando parole in calabrese non lo sanno, e neppure i loro coetanei riacesi che negli interminabili pomeriggi prima scanditi soltanto dai rintocchi delle campane, hanno trovato finalmente qualcun altro con cui giocare a pallone.