In vista del referendum costituzionale che si terrà in Russia in forma mista – elettronica e nel seggi tradizionali – per tutta la settimana che va dal 25 giugno al 1 luglio prossimi, il presidente del parlamento russo Vyaceslav Volodin ha rilasciato una intervista a Gazeta: «Se stiamo parlando di una Russia forte, allora dopo Putin ci sarà Putin. Tutto ciò che accadrà dopo il presidente Putin avverrà secondo gli schemi da lui definiti», ha affermato Volodin, al quale tutto si può imputare meno che la mancanza di una brutale franchezza.

La nuova costituzione prevede che Putin possa restare al Cremlino fino al 2036 ma lo speaker della Duma ha voluto chiarire che già ora l’ipotesi di un Putin forever sia tutto meno che fantascienza: «La Russia non può che essere forte. Putin l’ha resa tale. Ha istituito un sistema che rende il paese più forte ogni anno. Tutto ciò che egli ha creato dalle fondamenta funzionerà sicuramente in futuro, e il presidente che gli succederà farà affidamento su questo. Ciò significa che dopo Putin ci sarà Putin». Come un sanfedista del XXI secolo Volodin ha coniato persino un motto: «C’è Putin, c’è la Russia, non c’è Putin, non c’è la Russia». La macchina per portare il popolo russo si è messa in moto per raggiungere l’obiettivo fissato dal governo del 70% di partecipazione.

Da questa settimana in tutte le aziende statali o a partecipazione statale, i manager hanno messo da parte ogni impegno per concentrarsi su come portare la gente a votare.

Il liberale populista Andrey Navalny – attivo sostenitore del boicottaggio elettorale – è venuto in possesso di un documento del comune di Mosca dove sono riepilogati i dati della registrazione preventiva al voto dei dipendenti delle aziende municipali. In quasi tutte le percentuali sono bulgare con l’oltre il 90% dei dipendenti già registrati.

E lo stesso sta succedendo, in modo più o meno aperto dappertutto a partire da Gazprom e Rosneft, in modo da esercitare il controllo più ferreo sui dipendenti-elettori. Il presidente della metropolitana di San Pietroburgo, per zelo, ha voluto strafare e con lettera autografata ha fatto richiesta ad ogni dipendente di consegnargli dopo il voto, la conferma di aver adempiuto al proprio diritto. Cosa che è vietato persino nella Federazione. Naturalmente resta off-limit l’indicazione diretta di voto ma si tratta di un semplice dettaglio dato che lo screening del voto è facilitato dal fatto che l’opposizione non ha nessuna possibilità di controllare le operazioni di spoglio.

A denunciare il voto elettronico come una vera e propria frode è il partito comunista che dopo aver sfogliato la margherita fino all’ultimo ha deciso per il no dentro l’urna e non per l’astensione, come invece invocano quasi tutti i partiti di opposizione, dai liberali fino al Fronte della sinistra.

Il segretario del partito Gennady Zyuganov ha chiesto alla presidente della Commissione elettorale Ella Pamfilova di impedire l’uso del voto elettronico sugli emendamenti costituzionali. Il leader comunista ha chiesto l’inammissibilità dell’uso del voto elettronico o presso i caseggiati di campagna con seggi volanti. Zjuganov ha denunciato soprattutto che «la segretezza del voto così come la libertà di espressione più in generale è in grave pericolo in Russia».

Una denuncia che, in queste ore, non sembra esagerata: il sindaco di Mosca, Sergey Sobyanin, ha vietato per il 27 giugno una manifestazione dell’opposizione contro le modifiche costituzionali utilizzando lo scudo della pandemia. E neppure in Tv è stato previsto alcuno spazio per i sostenitori del no.