Guardare Roma attraverso le lenti dell’indagine sulla mobilità sostenibile pubblicata ieri da Greenpeace è sconfortante. Delle tredici grandi città europee prese in esame ( con Berlino, Londra, Vienna, Bruxelles, Mosca, Zurigo, Parigi, Amsterdam, Copenaghen, Oslo, Budapest e Madrid) da un celeberrimo istituto di ricerce ambientali tedesco come il Wuppertal Institute, Roma risulta ultima in assoluto, nella graduatoria complessiva, e quasi sempre al tredicesimo posto, l’ultimo, per ogni singolo aspetto analizzato. Tutto ciò senza che siano neanche state prese in considerazione le buche, vero incubo dei romani.

La sgradevolezza del risultato non riguarda in effetti solo i tre milioni di residenti dentro e fuori le mura Aureliane, visto che – come i ricercatori tedeschi non rinunciano a segnalare – la popolazione europea sarà sempre più concentrata nelle grandi aree urbane, tanto che nel 2050 si calcola che addirittura l’80 per cento risiederà, e si sposterà, lì. Le grandi capitali europee già da vari anni si stanno preparando a questo impatto adeguandosi in termini urbanistici e investendo sulla mobilità sostenibile. Roma no.

E analizzando il report non sembra possibile dare la colpa unicamente al substrato archeologico che ritarda e intralcia la realizzazione di una rete efficiente e capillare di metropolitana sotterranea, tanto che l’apertura della stazione Lodi-San Giovanni della metro C, il primo «riammagliamento» della rete di tre linee (finora si incontravano solo a Termini) risale solo a una decina di giorni fa, dopo quasi quarant’anni di attesa. Amsterdam, con i suoi canali, è stata comunque in grado di potenziare al massimo la pedonalità e l’uso delle biciclette e su questa categoria di mobilità «attiva» risulta al primo posto.

Roma non figura in testa di classifica da nessun punto di vista. Neanche quello dell’aria, nonostante i grandissimi parchi urbani e le porzioni di Agro romano ancora non cementificate. Sotto questo aspetto è quart’ultima, Oslo è prima, ed è la sua migliore performance, superata in peggio solo da Budapest, Parigi e Mosca, con con concentrazioni di polveri sottili e biossido di azoto più alte, a zone, anche di Londra. Se poi l’Urbe non sprofonda anche sulle politiche di mobility management, cioè tutte quelle iniziative che vanno sotto l’epiteto smart – dalla Ztl con alte tariffe di parcheggio alte per scoraggiare l’uso del mezzo privato alle App sul telefonino per evitare gli ingorghi o per noleggi – è solo perché è stata data per buona la promessa della sindaca Virginia Raggi di eliminare la circolazione dei motori diesel entro il 2024.

Manca ancora un piano di azione per l’energia sostenibile. E altre iniziative di rilievo come il car sharing e il bike sharing restano a un utilizzo da élites: solo il 6% degli spostamenti totali è su due ruote a pedali, mentre il 29% è soddisfatto dagli scassatissimi mezzi del trasporto pubblico.

Ciclisti e passeggeri Atac sono eroi quotidiani, non solo perché affrontano i rischi di un parco rotabile tra i più anziani d’Europa, con la recente epidemia di autocombustione dei bus, ma anche l’ indice di mortalità più alto rilevato sulle strade. Roma è tredicesima anche per quanto riguarda la sicurezza stradale, unica accezione non di moda in Italia del termine «sicurezza». Solo nel 2016 sono morti investiti 25 ciclisti e 47 pedoni.

Non è l’unico costo umano di tutta questa arretratezza. Greenpeace sottolinea come ingorghi e rallentamenti significano tempo perduto e quindi danno economico ma anche un deficitario accesso alle attività e ai servizi. Senza contare i costi in termini di problemi sanitari e patologie di un crescente inquinamento acustico e da smog.