Attacco al cuore dello Stato, o a quel che ne resta, ieri in Libia: la sede centrale della compagnia petrolifera Noc, un palazzo di vetri blu e cemento bianco nella centralissima via Sikka della capitale, è stato assaltato alle nove del mattino da un commando composto, a quanto pare, da sei miliziani di pelle scura. Dentro, nel suo ufficio al quarto piano del palazzo, era già al lavoro il presidente Mustafa Sanallah, l’uomo più potente dell’intero Paese, di cui per alcune ore non si è saputo niente, finché l’edificio non è stato circondato e liberato di una squadra di truppe scelte agli ordini del ministero dell’Interno tripolino, la Special Deterrence Forces o Rada.

NON È CHIARA LA DINAMICA dell’assalto né a chi sia da attribuire, visto che non ci sono state rivendicazioni. Anche se in serata la stessa Rada ha scritto sui suoi profili social che si trattava di «terroristi dell’Isil», lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, cioè i miliziani neri in rotta da Sirte che nel maggio scorso avevano rivendicato un attentato contro la Commissione elettorale a Tripoli ma mai si erano spinti contro un obiettivo così importante. Anzi, un obiettivo mai sfiorato in tanti anni di guerra civile a bassa intensità. Questa interpretazione è stata subito sposata anche dal ministro dell’Interno del governo Serraj, Abdul Salam Ashour.

Non è chiarissimo neppure quanti siano stati i morti e i feriti nello scontro a fuoco ingaggiato dagli assalitori con le truppe Rada: alcuni giornali locali parlano di due terroristi morti per essersi fatti saltare in aria con cinture esplosive e due dipendenti della Noc rimasti uccisi nella sparatoria e dieci feriti alcuni dei quali in condizioni gravi, altri dicono che tutto il commando è stato falciato dalle forze speciali e il quotidiano egiziano Al Ahram ha raccolto testimonianze oculari di lavoratori di bar e alberghi circostanti che parlano di più di due esplosioni e di un grande via vai di pompieri e ambulanze.

IL PRESIDENTE SANALLAH in serata ha detto che i danni al palazzo sono ingenti – si è sviluppato un incendio nel piano inferiore e le vetrate sono state mandate in frantumi dalla Rada per far uscire i dipendenti presi in ostaggio o nascosti sotto i tavoli – ma che il personale è stato tratto in salvo. E che comunque la produzione petrolifera – che attualmente va a gonfie vele, tanto che per quest’anno si prevedono entrate record dall’inizio della guerra stimate in 23,4 miliardi di dollari – non avrà alcuna ripercussione.

I PROVENTI DEL PETROLIO che la Noc continua a gestire su esplicito volere Onu sono alla base della acerrima rivalità tra il governo Serraj di Tripoli e le istituzioni di Baida e Tobruk in Cirenaica che fanno capo al generale Haftar e che rivendicano una diversa ripartizione.

E non è da sottovalutare che proprio ieri, nel bel mezzo dell’attacco al palazzo della Noc a Tripoli, a Bengasi il ministro degli Esteri italiano Enzo Moavero Milanesi era, per la prima volta, a colloquio proprio con il generale cirenaico. Haftar, che ilsoltanto poche settimane fa aveva definito l’Italia «un nemico» e che anche dopo il raggiungimento del cessate il fuoco tra le milizie che si sono confrontate a Tripoli lasciando a terra 63 morti aveva minacciato un’invasione della capitale, ha ricevuto Moavero ma si è ben guardato dall’accettare un comunicato congiunto. I due – secondo quanto dichiarato dalla Farnesina – hanno avuto un colloquio «lungo e cordiale», che ha «rilanciato lo stretto rapporto con l’Italia, in un clima di consolidata fiducia». Il capo della diplomazia italiana, più propriamente, avrà cercato di ristabilire un dialogo nel tentativo di non far fallire la conferenza internazionale sulla Libia che l’Italia sta cercando di organizzare a Sciacca, in Sicilia, a novembre, prima delle elezioni concordate a Parigi.