Fra il 1988 ed il 1999 Mizuki Shigeru, autore e manga-ka conosciuto soprattutto per i suoi lavori dedicati agli yokai, pubblicava in otto volumi un’opera monumentale intitolata «Komikku Showa-shi». Si tratta di una storia a fumetti dell’epoca Showa (1926 – 1989), più di duemila pagine in cui Mizuki ripercorre la sua vita e gli avvenimenti storici che hanno plasmato il Giappone durante il periodo. Scomparso l’autore lo scorso anno ed in un momento storico come quello attuale, in cui il discorso sul passato militare giapponese sembra stia venendo pericolosamente edulcorato da un revanscismo destrorso, leggere quest’opera è un atto salvifico. Una lettura che mette chiarezza e puntella fatti e idee pur rendendo la storia nella sua massima complessità e fluidità, ci riferiamo in particolare a quei volumi che coprono circa i primi venti anni dell’epoca Showa.
Ciò che rende questa operazione qualcosa di unico e di così affascinante, sia quando considerato come «fumetto», sia quando visto come resoconto storico, è la sua natura spuria e per così dire «meticcia». Prima di tutto ci troviamo davanti ad un lavoro definito geki-ga piuttosto che man-ga, cioè un insieme di immagini drammatiche spesso stilizzate con brutalità e realismo, specialmente nelle scene di battaglia ed in quelle che descrivono la miseria che avvolgeva il giovane Mizuki ed il Giappone.

Ma etichettare queste pagine solo come geki-ga sarebbe incompleto e forse sbagliato, molti sono infatti i momenti di comicità e fantasia con l’irruzione nella narrazione di alcuni dei personaggi più popolari del pantheon di Mizuki, su tutti Nezumi-otoko, l’uomo topo, che si manifesta meta-narrativamente nel corso della storia, quasi una voce fuori campo, per spiegare qualche particolare, o fornire il punto di vista dell’autore che spesso anche «intervista». Oltre a questa mescolanza di stili, se ne aggiunge anche quella che ibrida il tipo di narrazione usata ed il punto di vista, i volumi nella loro interezza cioè sono tanto un resoconto storico del periodo Showa, come chiaramente enunciato dal titolo, con abbondanti riferimenti a fatti ed avvenimenti molto precisi che spesso possono spaesare il lettore occidentale, ma allo stesso tempo anche una sorta di autobiografia di Mizuki e della sua vita attraverso il periodo Showa, la povertà, i fallimenti a scuola, l’arruolamento, la violenza, la perdita del braccio ed il ritorno a casa.

Abbiamo allora una visione a tratti onirica e molto soggettiva che si trasforma o che fa da necessario contraltare e corollario a quella dei fatti della storia, eventi a cui Mizuki (ri)guarda e su cui ritorna peraltro senza nessuna nostalgia ed addolcimento dovuto al prisma del ricordo. Anzi, l’autore giapponese è spietato, con sè stesso e con il Giappone in generale e non concede nessuno sconto, l’espansionismo militare, la mobilitazione totale, il fascismo e le violenze coloniali ed imperiali della prima metà del secolo scorso, sono raccontate e messe sulla pagina con una lucidità impressionante.

Proprio per queste caratteristiche si tratta di un’opera effettiva, che muove e smuove il lettore perché lo «attacca» da diversi punti di vista, con tagli ed estetiche differenti, senza fornire facili soluzioni ed interpretazioni a posteriori. In attesa che qualche editore italiano decida di tradurlo, non è detto che sia già in lavorazione, per chi non legge il giapponese e mastica l’inglese, gli editori Drawn and Quarterly nel biennio passato hanno fatto uscire un’ottima edizione in quattro volumi.

matteo.boscarol@gmail.com