Economia

«Misure di buon senso per ridurre la precarietà, spero siano solo l’inizio»

«Misure di buon senso per ridurre la precarietà, spero siano solo l’inizio»Andrea Roventini sul palco del M5s

Intervista ad Andrea Roventini Il professore che fu ministro dell'Economia in pectore del M5s: "Nelle norme sui contratti vedo un'ottica di coerenza a intervenire dove il Jobs Act ha fallito: doveva combattere la precarietà e invece ha prodotto più contratti a termine"

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 4 luglio 2018

«Un punto di partenza per ridurre la precarietà». Andrea Roventini, 41enne modenese, professore associato di Economia alla Scuola universitaria superiore Sant’Anna di Pisa, allievo di Giovanni Dosi, era nella squadra di governo presentata da Luigi Di Maio prima delle elezioni.

Oggi, da semplice tecnico, che giudizio dà sul decreto Dignità?
Le norme sul mercato del lavoro mi sembrano molto buone perché vanno a ridurre la precarietà. Il Jobs act ed il decreto Poletti sono state riforme molto costose – 20 miliardi di incentivi e sgravi alle imprese – che invece di produrre nuovi contratti a tutele crescenti ne stanno creando tantissimi a termine, tanto che hanno raggiunto i 3 milioni. Per questo credo che ci sia anche un’ottica di coerenza ad intervenire dove il Jobs act ha fallito. Le norme del Decreto dignità danno più tutele ai lavoratori e penalizzano le imprese che continuano ad usare la flessibilità.

Lei se fosse diventato ministro dell’Economia avrebbe appoggiato misure come queste?
Le mie ricerche sul mercato del lavoro dimostrano come un mercato del lavoro più rigido porta a più eguaglianza, più stabilità, più innovazione e crescita. Quindi avrei certamente appoggiato un decreto come questo.

Non pensa però che si poteva fare di più? Le causali nei contratti a termine sono re-introdotte solo dopo 12 mesi mentre la maggior parte dei contratti è di durata minore. Non c’è il minimo accenno al ritorno dell’articolo 18…
Reintrodurre l’articolo 18 nei contratti a tutele crescenti sarebbe stato molto complicato. Certo, si poteva fare di più sul lato delle tutele ma io vedrei questo decreto come un primo passo.

Pensa che l’obiettivo di ridurre la precarietà sarà ottenuto da questo decreto?
Gli effetti li vedremo solo nei prossimi mesi ed è difficile fare previsioni sul mercato del lavoro. Di sicuro si va nella giusta direzione: regolamentare il campo dei contratti a tempo dove, dal decreto Poletti del 2014, c’era stata una vera deregulation.

Lei nota quindi un cambio di direzione: l’ago della bilancia col Jobs act si era totalmente spostato verso le imprese e contro i lavoratori.
Sì e in questo senso trovo molto sensato aumentare l’indennizzo in caso di licenziamenti senza giusta causa: un deterrente importante contro possibili abusi.

Il ministro Di Maio parla sempre di equidistanza tra imprese e lavoratori, di riduzione del conflitto. È d’accordo con questa filosofia?
Io penso che bisogna essere pragmatici. Dagli anni settanta ad oggi ci hanno fatto credere che il mercato avrebbe sistemato qualunque cosa. Invece non è assolutamente così: serve più Stato e servono più regole. Nel caso specifico cercare di ridurre il conflitto fra imprese e lavoratori mi pare una buona idea. Più difficile è farlo.

Da parte delle imprese arriva l’accusa opposta: il decreto sarebbe «un grave segnale di dirigismo»…
Questa è un’affermazione che contesto alla base. Ogni governo deve perseguire una politica economica in cui crede. In questo caso si è voluto dare un segnale preciso: non lasciare che sia il mercato a decidere, ma regolamentare la flessibilità. Quanto poi alla norma contro le delocalizzazioni mi sembra puro buon senso: se hai preso soldi pubblici da un Paese e decidi di andare a produrre altrove, restituisci i soldi con una forte penalizzazione.

Professore, in che rapporti è rimasto con il M5s? Lei e il suo collega Pasquale Tridico, da uomini di sinistra, avete fortemente criticato la formazione di un governo con la Lega.
I rapporti sono buoni: se il M5s mi contatta per avere un consiglio su un determinato provvedimento non vedo perché io dovrei rifiutarmi: aiutare a definire una buona politica nei nostri rispettivi campi per noi tecnici è normale.

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