Il premier di Tripoli Fayez Serraj è volato ieri a Milano per un incontro riservato con il ministro «di tutto un po’», oltre che vice premier, Matteo Salvini, di cui lo staff ha riferito con il contagocce.

All’inizio è stato riferito che i due abbiano parlato solo di immigrazione, poi l’ordine del giorno è stato ampliato alla situazione in Libia con il riconoscimento da parte di Serraj all’Italia di un ruolo «fondamentale» nel processo di pacificazione, quindi è stato confermato come si sia parlato anche di economia – pare fossero presenti anche rappresentanti dell’Eni – e infine è stato aggiunta una stoccata alla Francia attribuita al premier libico, sicuramente rispondente ai suoi pensieri: ieri l’ambasciatrice di Parigi in Libia ha dovuto difendersi dalle accuse di Tripoli di aver mandato soldati francesi a sostenere il rivale Haftar a Gharyan. La realtà è che Serraj è tornato a calcare il suolo italiano per chiedere al governo di Roma- come ha fatto il ministro misuratino Fathi Bashaga solo una settimana fa – un appoggio più sostanziale in termini diplomatici e militari, o quanto meno per cercare di non perdere terreno rispetto all’appoggio acquisito, sia per quanto riguarda la Guardia costiera libica e il suo immenso raggio d’azione a caccia di barconi di migranti – solo grazie al legame con il centro marittimo di soccorso della Guardia costiera italiana un anno fa l’International maritime organization ha riconosciuto un’area Sar (Search and rescue) al governo di Tripoli tra le più vaste nel Mediterraeo centrale – sia nel supporto logistico e sanitario a Misurata, la città-Stato che sta fermando l’offensiva del generale Haftar sulla capitale.

A MISURATA L’ITALIA gestisce un ospedale con 60 posti letto, una sala operatoria e un’unità di terapia intensiva con 70 tra medici e infermieri e 130 «addetti», anche alla «sicurezza della struttura». Non più tardi di giovedì scorso un aereo-cargo C130 dell’Aeronautica italiana è partito dall’hub di S.Giusto a Pisa, alla volta della città-Stato carico di rifornimenti.

UNO SBILANCIAMENTO non di poco conto verso uno dei due attori attualmente in guerra in Libia – Serraj e Haftar, fino a tre mesi fa erano impegnati in un difficile percorso di dialogo, ma adesso non accettano in nessun modo gli inviti dell’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Ghassam Salamé, a far tacere le armi e a tornare a sedersi attorno ad un tavolo di negoziato politico.
Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi venerdì scorso ha visto alla Farnesina, l’inviato Salamé. Quel giorno Salamé era di ritorno da una visita a Bengasi da Haftar e il generale aveva appena subito una disfatta a Gharyan, bastione a sud di Tripoli dove era attestato il suo quartier generale. Moavero ha detto varie cose, la più importante: ha riconosciuto che la Libia non può essere considerata «porto sicuro». «É un dato di fatto del diritto internazionale», ha dichiarato. Poi, nella logica che Romano Prodi sostiene abbia sempre ispirato la politica estera e la diplomazia italiana, che è quella del dialogo, il capo delle feluche ha riconosciuto che il generale Haftar «resta uno dei protagonisti dello scenario libico, un interlocutore imprescindibile». «Anche se come interlocutori si preferisce averne altri», ha aggiunto Salamè, intendendo il premier insignito di questa carica dopo la firma dell’accordo di Shirat, tra le delegazioni dei parlamenti rivali di Tripoli e Tobruk nel 2015 con l’appoggio Onu.

A TRIPOLI LA SITUAZIONE sul campo di battaglia è di nuovo cambiata, lasciando a terra altri sessanta morti. Tra domenica e lunedì Haftar ha lanciato un’offensiva sul versante Sud e nell’area dell’areoporto internazionale di Mitiga- chiamata Aqibat al Ghadir, «Conseguenze del tradimento» – con raid estesi, carriarmati e lanciamissili. A Gharyan i misuratini hanno sequestrato 4 cannoni anti-tank Sa22 Javelin, made in Usa, di un lotto venduto agli Emirati.

CON LA TURCHIA HAFTAR ha poi ingaggiato un duro braccio di ferro, accusando Erdogan di rifornire così tanto di armi e droni Misurata da essere ad un passo dall’intervento diretto. E in effetti lo si è sfiorato, ieri, prima della liberazione di sei marinai turchi arrestati nel porto di Brega, in Cirenaica. A vedere chi viola di più l’embargo Onu,sembra sempre più una guerra per procura Ankara-Abu Dhabi.
L’AMBASCIATORE a Tripoli Buccino era però impegnato ieri a garantire, tramite il governo Serraj, l’appalto Impregilo per la nuova autostrada litoranea: valore 5 miliardi in 20 anni.