In questi giorni di polemiche, offese e disperazioni su quel che avviene nella città del golfo mi tornano alla mente alcuni brani del bellissimo libro di Ermanno Rea Mistero napoletano (1994 Einaudi ristampato nel 2014) che chiarisce un infinità di cose sulla storia del nostro paese e in particolare sulla città di Napoli. Rea, classe 1927, giornalista di lungo corso ed esperienza, fotografo, scrittore, candidato alle ultime europee per Tsipras, decide di tornare nella sua città natale dopo 30 anni di assenza per indagare sul suicidio della sua vecchia amica Francesca Spada, anche lei giornalista culturale dell’Unità e critica musicale, che nel Venerdì Santo del 1961 dopo aver cosparso la stanza di fiori bianchi e lasciato alcuni versi dell’Alcesti di Rainer Maria Rilke trascritti, forse, a mo’ di testamento, si tolse la vita. In questo appassionante romanzo s’intrecciano le storie, vere e documentate, che segnarono la storia italiana dal dopoguerra agli anni ’60, dalla redazione dell’Unità in Angiporto Galleria ai quartieri, via Toledo, i Camaldoli…Rea s’incaponisce in un’indagine minuziosa dei fatti all’interno dei quali si sviluppa la vicenda umana di questa donna speciale, diversa, caparbiamente idealista e sconveniente amica di Caccioppoli e di tutto quel gruppo di giovanissimi, tra i quali l’autore, suo marito Renzo Lapiccirella (giornalista), Gerardo Marotta (fondatore dell’istituto di studi filosofici di Napoli) che fecero parte dei gruppo Gramsci, fondato nel ’48 da Guido Piegari (ultimo libro di Ermanno Rea Il caso Piegari. Attualità di una vecchia sconfitta ed. Feltrinelli 2014) che subirono una sorta di purga da parte dei dirigenti del partito comunista. Al centro dell’analisi storica di quel periodo Rea pone la politica italiana del PCI stalinista, della DC legata al Vaticano e agli USA, della guerra fredda, dell’ingombrante occupazione della Sesta flotta del porto di Napoli, che ne condiziona e impedisce il giusto sviluppo civile e commerciale al punto che nonostante il sindaco Lauro fosse armatore, proprio grazie alle navi elargite dagli stessi americani, aveva la sua flotta stanziata a Genova, chissà come mai. E in quegli anni di miseria dell’immediato dopoguerra c’era quasi solo il contrabbando, facile, ricco e differenziato nei beni e a portata d’onda, come mestiere praticabile per il popolo affamato. Ciò che era anarchicamente autorganizzato dopo qualche anno diventa dominio della camorra e il business passa dalle bionde nascoste nel ventre dei velocissimi motoscafi blu a Cutolo, le droghe, la violenza bruta, i casalesi, Gomorra con e senza Sodoma e tutto ciò che oggi fa titolo sui giornali e riempie le labbra dei politici. Ma se non si conosce la storia, non solo quella raccontata dai vincitori, l’origine dei problemi, che sono certamente più complessi e antichi di quelli che risalgono al dopoguerra, ma comunque almeno aver coscienza di quelli che risalgono alla nascita della Repubblica Italiana non sarebbe male, si continuerà ad evitare anche solo di cercare la giusta terapia. Sintetizza Rea in un’intervista recente che ho trovato su Youtube: «il problema è la disunità. L’unità del paese non è mai stata un obiettivo delle classi dirigenti né del nord né del sud, ciascuno perseguiva i propri interessi al sud i latifondisti non volevano rinunciare ai propri privilegi e il nord industrializzato non voleva competizione sul suo primato, considerava il sud piuttosto come mercato…» «Anche mercato del lavoro nero» aggiunge il mio amico artista napoletano Giancarlo Neri. E lo spazio non basta… leggere, leggere, leggere….con testa e leggerezza