Nel 1857 Baudelaire pubblicava a Parigi I Fiori Del Male e, già solo pochi giorni dopo, l’opera era stata accusata di «oltraggiare il pubblico decoro». Baudelaire aveva scoperchiato, quasi fosse un vaso di Pandora, il mondo umano delle paure, dei desideri repressi, delle vergogne, dell’osceno, di tutti quei lati oscuri dell’animo che non potevano essere detti e che adesso, invece, avevano trovato una sorta di forza intellettuale per poter essere raccontati. L’arte diventa così il mezzo attraverso cui dare dignità a voci da sempre represse e ignorate. Nasceva così, a fine ottocento, la scuola simbolista che, dal Belgio, dalla Francia e dalla Germania, era arrivata anche in Italia e che oggi è in mostra a Palazzo Reale di Milano fino al 5 giugno con Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra.
L’artista simbolista raccoglie mille contraddizioni, ha aperture e chiusure, vive le frustrazioni dovute alla condizione dell’uomo che aveva perso il proprio ruolo di centralità grazie, o forse per colpa di, Copernico, Darwin, e ora anche di Freud. In opposizione al realismo e al naturalismo, vuole rappresentare il mondo attraverso le suggestioni fantastiche dei sogni, cercando rifugio nei miti classici o nell’occulto, nel demoniaco, nel peccato e nell’amore erotico o, altrimenti, anche nell’illusione di una perenne primavera. Da subito allora, lungo le sale della mostra, si nota come spesso è stata rappresentata la figura femminile.
Già solo l’immagine, il manifesto della mostra, Carezze (l’Arte) di Fernand Khnopff, raffigura «la donna come Sfinge, con il suo corpo conturbante di ghepardo che occupa tutta la superficie del quadro», dice il curatore Fernando Mazzocca, «e qui si riflette anche sul lato ferino della femminilità. Al contempo il volto della Sfinge è quello della sorella del pittore, con cui esisteva un rapporto morboso. Il personaggio al suo fianco, una sorta di Edipo, è l’autoritratto dello stesso Khnopff, e c’è una forte tensione da parte dell’artista nel superare l’irrazionale. Attraverso l’arte si sperava di poter vincere quelli che sono i problemi e i lati oscuri della vita». Quello con la Sfinge, dice Mazzocca, «è un quadro molto ambiguo, contiene l’ambiguità sessuale, oggi molto attuale. I confini vanno sempre più assottigliandosi».
A Fernando Mazzocca chiediamo dunque di accompagnarci e spiegarci gli aspetti più tenebrosi e perversi della femminilità raffigurata dal simbolismo. «Il rapporto degli artisti con la donna è una sorta di dicotomia, che corrisponde allo spirito del simbolismo che indaga la luce e le tenebre, i lati più oscuri della personalità umana, in un momento in cui però c’è anche una forte emancipazione femminile. È quindi una forte riflessione sulla figura della donna». Tra segreti, voglie e desideri inespressi, la donna viene rappresentata anche come essere demoniaco, di cui probabilmente si ha paura, e che in molti raccontano nei lati più oscuri. Come nelle opere di Franz von Stuck che, ne Il Peccato, (appeso suggestivamente da solo su una parete lungo la mostra), dipinge una Eva che è femme fatale, nuda, ammiccante e conturbante, avvolta tra spire di un serpente mentre guarda invitante lo spettatore. «Il senso dell’amore diventa anche perdizione, concezione nata con il romanticismo. Quella era infatti anche una femminilità oppressiva, con tutti i suoi rapporti edipici. L’amore, l’eros, rappresentano quindi sia Salvazione che Dannazione». A Vienna, nel 1900, Sigmund Freud pubblica L’Interpretazione dei sogni, e il Sogno diventa così il contenitore di tutti quei desideri repressi o nascosti e dell’irrazionalità, trovandone così una sorta di giustificazione. Gli artisti così si sedevano figurativamente sulla poltrona dello psichiatra e, in realtà nelle loro opere, raccontavano davvero gli aspetti inconfessabili del proprio inconscio. Aver letto gli «oltraggiosi» Fiori del Male, era stato forse un incoraggiamento a confessare pensieri e segreti scomodi. Ci sono artisti che scavano all’interno delle proprie fantasie, paure e terrori, come Alberto Martini, con il proprio Autoritratto, satanico aggiungiamo noi, o il lugubre disegno a china della Venere Dissepolta, la Parabola dei Celibi. Sono temi sempre presenti, in Italia e in Europa, e quindi bisogna ammettere che, sottolinea Mazzocca, «i simbolisti hanno avuto il coraggio di rappresentare questa realtà visivamente. Il tema dominante è stato accettare i lati oscuri dell’esistenza umana. In Al chiaro di Luna del 1894, Albert von Keller raffigura una donna crocefissa, la religione, che può essere in realtà anche molto oppressiva. Anche qui c’è stato il coraggio di sdoganare ciò che è più inconfessabile e che prima la letteratura e l’arte non avevano avuto il coraggio di fare. Solo Baudelaire ed Edgar Allan Poe avevano avuto per primi il coraggio di raccontare la donna anche nei suoi lati oscuri. Si trovano temi universali come il senso della vita, della morte, dell’amore, senza mai nascondere la doppia faccia della medaglia. La morte, la dissoluzione, convive con l’amore. Nel simbolismo l’ambiguità è sempre presente, come lo era nel mito classico, per esempio come lo era nel mito della sirena». Sì, la bellezza sinuosa della sirena, col suo fascino ambiguo di femme fatale e incantatrice, è raffigurato da Sartorio in La sirena. Parvenza languida ma, sullo sfondo, appaiono teschi e ossa, un funesto presagio per chi le si avvicina. Altrimenti la donna è raccontata in maniera totalmente opposta, come nell’opera di Segantini che, con L’amore alla fonte della vita, ritrae la donna come pura, vestita di bianco. «C’è una riscoperta, grazie a D’annunzio e allo storico dell’arte Venturi, di Botticelli, che viene celebrato come pittore della Primavera. Insieme alla donna demoniaca, c’è dunque anche la donna che incarna il mito della vita che si rinnova. La primavera è tema del simbolismo italiano, la stagione centrale nella vita del mondo e dell’uomo». Un grande sostenitore del simbolismo, era stato D’annunzio, il cui desiderio che la prima moglie fosse ritratta da Sartorio in Le Vergini Savie e le Vergini Folli, era stato appagato. «Sì, anche D’annunzio aveva un’idea della femminilità non solare. Amava donne tormentate, come Eleonora Duse e poi, nella vita, esplorerà esperienze a volte estreme, dalla droga, a un eros vissuto in maniera molto particolare. Probabilmente nella moglie voleva trovare un personaggio complice delle sue pulsioni sessuali molto ardite, che per altro lui non ha mai nascosto. Ed era anche un gioco mondano di cui lui si compiaceva. Non voleva essere mai banale, e sarebbe stato banale avere come moglie una donna saggia. Lo dice, che non vuole vivere come le persone comuni, che vuole una vita d’eccezione, strana. Era un personaggio che ha fatto della contraddizione uno stile di vita, ed era quindi in sintonia con i simbolisti, che ha appoggiato molto, scrivendone spesso». All’interno di tante contraddizioni e ripensamenti, altri artisti non hanno scelto però la donna demoniaca. E allora c’è la drammaticità di Cleopatra di Previati, l’arte più decorativa ed elegante vicina a Klimt di Chini, o i colori infuocati ispirati a Le mille e una Notte di Zecchin.