«Sono certa che l’abbiano uccisa», ha rivelato concitata al manifesto, Slobodanka Teodosijevic, ex collega di Jacky Sutton, giornalista e attivista, trovata morta ieri nell’aeroporto Ataturk di Istanbul. «Abbiamo lavorato per anni insieme sul tema dell’emancipazione femminile. Era una donna molto intelligente e una giornalista appassionata per i conflitti in Medio oriente e la difesa dei diritti delle donne», ha proseguito. Anche per il giornalista iracheno Mazin Elias, che aveva lavorato con lei, è «impossibile» che si sia trattato di suicidio. «Qualcuno ha ucciso Jacky» forse per la sua attività a favore della libertà d’espressione in Iraq, ha aggiunto.

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Non reggono le spiegazioni ufficiali. Secondo le autorità turche, Sutton, direttore del think tank Institute for War and Peace Reporting (Iwpr), si sarebbe impiccata con i lacci delle scarpe in un bagno dello scalo. La giornalista, in partenza per Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, avrebbe mostrato segni di nervosismo per aver perso un volo. Lo scorso maggio era morto in un’esplosione a Baghdad l’ex direttore di Iwpr, Ammar al-Shahbander, insieme ad altre 17 persone.

Il Foreign Office di Londra ha assicurato assistenza alla famiglia dell’ex giornalista della Bbc. Sutton ha anche lavorato per varie organizzazioni umanitarie. Amici e colleghi hanno chiesto che venga fatta chiarezza sulle circostanze della morte e che venga aperta un’inchiesta internazionale. «È molto difficile credere che la collega si sia suicidata», ha commentato Sudipto Murkerje, dirigente dell’Agenzia delle Nazioni unite per lo Sviluppo (Undp).

Se la pista dell’assassinio a scopo intimidatorio venisse confermata si tratterebbe solo dell’ultimo episodio contro la stampa locale e internazionale che ha avuto luogo in Turchia. Sono decine i giornalisti europei arrestati ed espulsi dal paese (inclusi noi) perché hanno rivolto la loro attenzione al Kurdistan turco e siriano.

L’ultima clamorosa espulsione ha coinvolto la giornalista olandese che da anni era basata a Diyarbakir, Frederike Geerdink. Stessa sorte è toccata a due giornalisti di Vice, mentre il loro interprete kurdo resta in prigione. Sono duecento i giornalisti nelle carceri turche. Nel mirino delle autorità ci sono soprattutto siti e giornali indipendenti, come Hurriyet. Uno dei più noti reporter del quotidiano, Ahmed Hakan, ha subito un linciaggio gravissimo da parte di tre sostenitori del partito di Erdogan.

Mentre le elezioni anticipate del primo novembre si avvicinano, e l’Ue ha abilitato la Turchia come paese «sicuro», anche i social network subiscono una censura senza precedenti. È stata vietata la diffusione di tutte le immagini che riguardano la strage di Ankara dello scorso 10 ottobre, costata la vita a oltre cento persone. I kurdi turchi hanno sempre criticato l’assoggettamento di Facebook e Twitter a tutte le richieste che vengono dalle autorità turche, bloccando la diffusione di immagini dei massacri che esercito e polizia stanno perpetrando nel Kurdistan turco e iracheno.

Eppure gli islamisti moderati sono sordi a qualsiasi richiesta che venga dalla sinistra filo-kurda (Hdp). Addirittura il premier Ahmet Davutoglu ha condannato l’ex presidente Abdullah Gul che ha mandato un messaggio di condoglianze a Hdp per il massacro di Ankara. Ieri le identità dei due attentatori suicidi sono state confermate in seguito a una serie di test del Dna effettuati sui kamikaze.

Secondo gli inquirenti, sarebbe fondata la pista che collega gli attentatori di Ankara con quelli di Suruç, quando lo scorso luglio 33 giovani, diretti a Kobane, vennero uccisi in un’esplosione nel centro Amara. Eppure lo Stato islamico (Isis) fin qui non ha ancora rivendicato l’attentato mentre è certo il coinvolgimento di esponenti dei Servizi e della polizia, i cui vertici sono stati rimossi.

Infine, nel Kurdistan turco si continua a combattere. Quattro soldati sono stati uccisi nel villaggio di Daglica, mentre due bambini kurdi, Azad e Diyar, sono stati assassinati a Sirnak dalla polizia.