Provo a suggerire due elementi per una riflessione.

Il primo elemento è una nota prodotta il 6 settembre da una fonte di informazioni di intelligence più o meno connessa ai servizi di sicurezza francesi. La fonte fa notare di aver appreso che il 30 agosto il principe Turki Al Faysal, capo dei servizi di sicurezza esterna dell’Arabia Saudita – in carica dal 1977 – è stato improvvisamente dismesso e sostituito con il principe Nawaf Ben Abdel-Aziz, fratello del reggente attuale.

Per ventiquattro anni, Al Faysal ha diretto un servizio tra i più delicati del mondo ed è sicuramente depositario di grandi segreti. Negli anni, egli ha tenuto personalmente i contatti con l’M16 britannico, con la Cia, con il servizio turco Mit e quello pakistano Isi ed ha gestito un budget annuale di 4 miliardi di dollari senza alcuna limitazione.

“Licenziato” il capo dei Servizi sauditi

Tra i suoi agenti d’un tempo c’era Bin Laden, che ha sicuramente seguito nei suoi vari passaggi. Faycal ha mantenuto sino all’ultimo contatti “informali” con i Talebani.

Faysal era riuscito a persuadere re Fahd ad aprire per i Talebani un ufficio diplomatico nella capitale saudita Riyad, con lo scopo presunto di facilitare una eventuale “resa” di Bin Laden. La fonte dice che la sua dismissione potrebbe essere connessa al fatto che egli non sia riuscito a portare a termine l’estradizione.

Una motivazione assai strana e debole per liquidare una persona che era un uomo-chiave del regime e uno che – come per gli Stati Uniti Edgard Hoover, che tenne il posto di capo dell’Fbi per 48 anni e sino alla sua morte – poteva e può tenere in scacco qualsiasi membro della famiglia reale saudita e numerosi altri nel mondo. Dismesso, perché?

(nota: si è poi accertato che 15 dei 19 dirottatori dell’11 settembre erano sauditi. Dopo gli attentati, Faisal è stato ambasciatore saudita a Londra prima e a Washington poi, ndr).

Il secondo elemento è la “straordinaria” potenza del gruppo che avrebbe messo in atto l’operazione. Tutti, da Kissinger a Talbott, due famosi ex del Dipartimento di Stato, a commentatori ed esperti, hanno sottolineato l’eccezionale capacità di questo gruppo.

Credo che sia un riflesso, più che di reale analisi, del fatto che si vuole che solo un gigante abbia potuto colpire così l’America, sostanzialmente una comprensibile bilancia del proprio fallimento.

Che ci sia qualcosa di “interno” e di più grande è sempre più evidente, ma c’è anche qualcosa di assai meno gigantesco.

I maggiori esperti statunitensi di sicurezza interna, ivi compresa quella connessa ai trasporti, avevano già con forza sottolineato nel febbraio di quest’anno e in un rapporto ufficiale, le incredibili falle di tali sistemi e la farraggine di competenze sui controlli.

Occupandomi tra l’altro degli aspetti strategici del trasporto merci internazionale, ho una visione chiara delle condizioni di sicurezza di porti ed aeroporti e dei sistemi connessi, specie statunitensi. Ecco, sono un vero colabrodo.

Aerei Usa, un colabrodo

Gli aerei coinvolti sono due Boeing 757 e due Boeing 767. Erano tutti e quattro diretti alla costa Ovest, tre per Los Angeles (rispettivamente: il volo 11 dell’American da Boston e il volo 175 della United, finiti contro lo World Trade Center; il volo 77 dell’American da Washington Dulles, finito contro il Pentagono), uno per San Francisco (il volo United 93, precipitato-abbattuto a metà strada tra Pittsburgh e Camp David).

Gli aerei erano, oltre che pieni di carburante per una lunga traversata, semivuoti quanto a capacità (255 passeggeri per tutti e quattro).

Chi ha esperienza di volo, dice che – posta una buona conoscenza di base – l’addestramento per la specifica conduzione di tali aerei in volo non richiede più di due mesi (altro paio di maniche sono le abilità necessarie per condurre a buon fine decolli ed atterraggi: valgono un addestramento dai due a quattro anni).

Le operazioni di decollo sono state effettuate dai veri comandanti. Chi ha esperienza come passeggero di voli interni agli Stati Uniti sa che riuscire a partire secondo il ruolino di marcia non è cosa frequente (ritardi, cancellazioni, posti saltati, ecc.).

Per essere sicuri che certi voli partiranno ad una certa ora, bisogna aver monitorato a lungo i voli, capire con che capienza media di solito viaggiano (importante per non trovarsi al check-in “overbooked”, ovvero trovare che la compagnia ha venduto, come usa, più posti del possibile, con tanto di cancellazioni o voli successivi).

Per avere le informazioni sulla capienza media dei voli è sufficiente continuare a fare via Internet prenotazioni di un posto (con un nome ed un indirizzo qualsiasi) all’ultimo momento su un certo volo (prenotazione che viene tenuta per 24 ore prima dell’acquisto reale) ed osservare in linea la mappina interna dell’aereo da dove risultano quanti e dove sono i posti già prenotati. Sia United che American hanno questo servizio).

Per i ritardi, ugualmente si può sapere in linea la statistica che riguarda un certo volo. Ci vuole molta pazienza ed un tempo sufficientemente lungo, non eccezionali abilità.

Mohammed Atta, egiziano, è il pilota dell’aereo fatto schiantare sulla Torre nord – foto Ap

Per controllare un dirottamento ed entrare nella cabina di pilotaggio (che non è protetta altro che da una modestissima porta di plastica e una debole serratura) non ci vogliono (se sull’aereo vi è un limitato numero di passeggeri, come nel caso) più di quattro o cinque persone, compreso il pilota.

Non è facile trovare piloti e operativi disposti a suicidarsi, certo, ma nemmeno molto difficile in alcuni ambienti.

Infine, le comunicazioni e la presenza sul territorio delle basi logistiche. Non essere monitorati nelle comunicazioni (a parte le ultimissime per il via all’operazione, che è difficile possano essere decodificate in tempo) è materia di tempo e anche qui di pazienza.

Per dirla in breve, evitare il progresso ed usare il tram a cavalli, perché tutto il “progresso” è sotto controllo, ma non i tram a cavalli. Preparare un team di persone “pulite” (probabilmente una cinquantina); inviarlo alla sparsa in un paese un anno prima dell’azione; farlo vivere nelle più normali condizioni, magari con lavoretti modesti in ristoranti e pizzerie, e decidere prima tutti i passi in modo che il coordinamento in loco sia il minimo necessario, bene, credo non sia così “high-tech” come si dice.

E un’altra cosa sfugge ai commentatori: non è detto che la prova non si sia ripetuta sino a quando davvero i quattro aerei siano partiti in modo previsto per le loro destinazioni e il giorno e il tempo siano del tutto dipendenti da tali condizioni ottimali e non relative a qualche “anniversario”.