[do action=”quote” autore=”Ivo Herzog”]Protestare è legittimo, e non vuol dire che non ci piaccia il calcio[/do]

La storia del giornalista Vladimir Herzog, trovato morto nei locali della polizia politica di San Paolo nel 1975, poteva chiudersi con la nota ufficiale dell’Esercito, dove si dichiarava che il direttore del tg della Tv Cultura si era suicidato. Poteva concludersi con la foto diffusa dai militari, che scandalizzò il Paese e trasformò Herzog nel simbolo della lotta per la democrazia. Invece la storia di Vlado sembra nata per durare nel tempo. Nel marzo del 2013, lo Stato brasiliano ha rilasciato finalmente un nuovo attestato di morte alla famiglia, riconoscendo come causa mortis le «lesioni e i maltrattamenti patiti durante l’interrogatorio, nelle dipendenze dell’Esercito». Vale a dire che Herzog è stato “suicidato” a forza di torture.

Ma non è finita qui. Alla vigilia dei 50 anni dal golpe militare che ha sottomesso il Brasile per più di vent’anni (1964-1985), le grida lancinanti di Vlado continuano ad echeggiare, e al suo caso si aggiunge un nuovo capitolo – connesso all’imminente apertura in Brasile del Mondiale di calcio 2014. Ma cosa c’entri il futebol con l’assassinio di Vladimir Herzog, ce lo racconta in un’intervista esclusiva l’ingegnere navale Ivo Herzog, figlio 47enne del giornalista ucciso.

Avete presentato una petizione alla Federazione Internazionale Calcio, l’anno scorso. Qual è il suo contenuto?

Si tratta di una petizione che ha già raccolto circa 55.000 firme, denunciando il coinvolgimento del presidente del Comitato organizzatore locale (Col), José Maria Marin, nella dittatura militare e la sua complicità con le atrocità commesse. Ma soprattutto denuncia ciò che tutti in Brasile sanno: che Marin aiutò a far uccidere mio padre. Con un violento discorso a San Paolo, al tempo in cui era deputato, in cui istigava la popolazione e i militari a perseguirlo, fino ad arrivare al punto di farlo eliminare. Conservo una copia della Gazzetta Ufficiale che riportò il suo discorso, nel 1975. Un anno dopo Marin in un altro discorso tesseva le lodi di Sergio Fluery, che fu la mente organizzativa di tutto lo schema di sequestri e torture. Per Marin, un eroe che aveva reso servizi inestimabili alla popolazione. Abbiamo i nastri con le registrazioni, quindi non può negare. La petizione chiede il suo allontanamento dalla Presidenza del Col. In Brasile la petizione è stata già consegnata ai presidenti dei 20 club di serie A, alle federazioni dei 27 stati brasiliani e alla Confederação Brasileira de Futebol (Cbf). A proposito, Marin è anche il presidente della Cbf. È la prima volta nella storia dei Mondiali che il presidente della Federazione nazionale è anche a capo del Comitato organizzatore, incarico tradizionalmente occupato da un grande atleta del passato, come Platini in Francia, o Beckenbauer in Germania.

Che risposta avete ottenuto?

La Fifa mi ha scritto una lettera affermando che non tocca a loro investigare. Ha passato il caso al Comitato di Etica, ma quest’ultimo non si è mai espresso. Davvero non capisco la logica di questo comitato, che nel novembre scorso ha sospeso il difensore croato Josip Simunic, espellendolo dalla Coppa per avere fatto il saluto nazista, dopo il 2-0 della Croazia contro l’Islanda. Questo stesso Comitato assume invece un comportamento omertoso nei confronti di un personaggio che era la base politica del regime militare, e che appoggiò l’assassinio di mio padre. Ora Marin si prepara a ricevere le nazionali di calcio del mondo intero. Per noi è una vergogna. Qual è dunque il parametro della Fifa? Storicamente, il calcio è stato sempre usato dai peggiori regimi e dalla peggiore politica. Fu così in Argentina, nel 1978, e in Italia esiste oggi un esempio calzante di ciò che intendo. In Brasile, quelli che non riuscirono ad adattarsi alla democrazia dopo la dittatura, occuparono i centri del potere sportivo. Non ho ancora ottenuto risposta dalle varie federazioni, né dai club brasiliani. È proprio lì che si è rintanata questa scoria politica, luoghi privilegiati dove riescono ancora a mantenere il potere. Marin, per esempio, ebbe una vita politica solo durante la dittatura.

Non teme di essere considerato un ostruzionista, come gli attivisti del movimento “Não vai ter Copa” (La Coppa non s’ha da fare)?

Protestare è legittimo, e non vuol dire che non ci piaccia il calcio. Io stesso mi sono candidato per lavorare come volontario durante il Mondiale, poiché lo trovo uno spettacolo meraviglioso. Il problema è l’eredità violenta delle forze armate e della polizia. A seconda del colore della tua pelle, puoi essere perquisito, puoi essere arrestato o beccarti una pallottola. Se sei bianco, hai qualche chance in più che la polizia sia perfino simpatica con te. Lo scandalo sono la corruzione, gli abusi, gli stadi da più di un miliardo di reais l’uno, le 12 sedi mondiali… Non ha senso uno stadio olimpico nel bel mezzo dell’Amazzonia, costerà una fortuna, ci faranno tre partite e basta. La gente è indignata perché viene esclusa. Manca la sanità e l’istruzione pubblica. Il Brasile è stato trasformato nel paradiso dei costruttori di stadi. Il popolo brasiliano ama il calcio, ma odia il modo in cui le cose si stanno facendo.

I militari diffusero lo slogan, «Revanscismo, no» e con l’amnistia del 1979 gli esiliati poterono tornare nel Paese e perfino recuperare i propri diritti civili, purché non fossero costituiti tribunali per appurare la tortura e lo stermino degli oppositori. Oggi lei potrebbe essere accusato di revanscismo.

Non è questione di revanscismo, di rivalsa – è una questione di giustizia. Le Commissioni per la Verità non sono mai revansciste. E poi, cos’è in fondo il revanscismo? È conoscere la propria storia? È far conoscere il passato di Marin? È far sapere a tutti chi sta a capo del calcio brasiliano?

«[do action=”quote” autore=”Ivo Herzog”]Questo Paese ha l’impunità scritta nella sua Storia. Prima con gli índios, sterminati. Poi con i 200 anni di schiavitù nera. Infine con la dittatura militare[/do]

Il problema è che il Brasile ha l’impunità scritta nella sua Storia. Prima, con gli índios, che furono sterminati. Dopo, con i duecento anni di schiavitù nera, e di lotte sociali per ottenerne l’abolizione. Tutto ciò senza che nessuno sia mai stato condannato per le atrocità commesse. Il terzo ciclo di impunità si è avuto con la dittatura militare. Nel 1979, ci imposero una legge di amnistia contorta, che lasciò impuniti gli agenti dello Stato. Altri Paesi che vissero sotto un regime autoritario hanno potuto, alla fine, giudicare i crimini e chi li commise. Fu così col tribunale di Norimberga, e nella Commissione per la Verità in Sudafrica. In Brasile non è mai avvenuto. Sappiamo molto bene chi sono le persone che uccisero Vladimir Herzog, ma non possiamo processarle – nel sistema giuridico brasiliano non c’è più modo che possano essere punite. Per questo stiamo promuovendo un’azione verso la Corte Interamericana di Giustizia, dove prevediamo un parere favorevole alle nostre istanze.

Come ha reagito Marin a queste accuse?

Ha denunciato per diffamazione Juca Kfouri, uno dei principali giornalisti sportivi che ha scritto su questa storia. Ma ciò che stiamo denunciando è tutto tranne che diffamazione. Ciò che accadde a mio padre fu l’ultimo atto di una campagna contro l’emittente pubblica TV Cultura. Marin era, all’epoca, un deputato gradito ai militari. Grazie a un suo intervento all’Assemblea Legislativa dello Stato di San Paolo, mio padre ricevette dopo due settimane l’intimazione a comparire di fronte alla polizia politica. Il giorno dopo era morto. È questa la persona che abbiamo, nel 2014, al vertice dei Mondiali. Solo per darvi un’idea, nelle cause che Marin sta muovendo contro il giornalista Kfouri e altri, la moneta di scambio è, per lui, a buon mercato: infatti può distribuire ingressi gratis per le partite a tutti coloro che stanno curando le questioni tecniche processuali.

Cosa vorrebbe dire agli atleti, alle federazioni e all’opinione pubblica internazionale?

Idealmente mi auguro che la Federazione italiana possa consegnare una lettera di richiesta chiarimenti, in appoggio al movimento «Fora Marin», sollevando la questione della sua presidenza del Comitato organizzatore. Sarebbe bello che i Paesi e le Federazioni internazionali mostrassero pubblicamente la propria indignazione. Nel consegnare la petizione alla Fifa, ho usato una figura retorica abbastanza estrema per far capire la gravità della situazione. Ho dichiarato che avere Marin come anfitrione della Coppa è come avere Hitler a capo di un evento simile in Germania. Non so cosa gli atleti potrebbero fare. La Fifa è oppressiva, c’è il rischio di squalifiche in caso di manifestazioni di dissenso. La domanda è: i giocatori italiani, o di qualunque altro Paese, vogliono stringere la mano a un fascista, a un antidemocratico coinvolto nell’assassinio di un giornalista brasiliano? Il padrone di casa del Mondiale dev’essere una persona più vicina possibile ai nostri valori. Marin è a favore della violenza, confonde il pubblico con il privato, è totalmente avulso dalla democrazia. Una persona può anche essere contraria alla democrazia, ma non voglio essere costretto a stringergli la mano. I calciatori sono idoli, quando abbracciano una causa possono convincere le persone a riflettere e cambiare le cose. È stato così trent’anni fa, con la Democrazia Corinthiana di Sócrates, e può essere così ancora oggi.