Che aria tiri per il Pd, e di conseguenza per la maggioranza giallorossa, lo si capisce dall’ammissione che nel pomeriggio sfugge a un senatore dem: «In aula faremo tutto ciò che serve per evitare guai». Tradotto significa che, al di là delle rassicurazioni fatte in passato dal segretario Nicola Zingaretti, quando oggi pomeriggio il decreto sulle missioni internazionali approderà nell’aula di Palazzo Madama il Pd cercherà di fare in modo che nel voto al provvedimento non si intraveda in controluce la manina dei voti di Fi, pronta a correre in aiuto al premier e dichiarare un momento dopo concluso il Conte 2. Perché del pacchetto missioni fa parte anche un nuovo impegno con la Libia e in particolare con la sua Guardia costiera, abile nell’intercettare in mare i barconi dei migranti che poi riporta nell’inferno dei centri di detenzione di Tripoli. Oltre a un nuovo sostegno alla missione di terra che vede impegnati 200 soldati e un ospedale a Misurata.

SE IL BAROMETRO SEGNERÀ bel tempo oppure tempesta lo si capirà subito, quando LeU, come ha già annunciato, chiederà di votare il decreto non in blocco ma per singoli punti, in modo da poter bocciare il paragrafo libico. La decisione spetta all’esecutivo, ma tutta la maggioranza comincerà a ballare. Qualunque sarà la risposta, gli scenari che potrebbero aprirsi non promettono niente di buono per Conte.
Il più ottimistico prevede che la richiesta di LeU venga respinta e si proceda con il voto sull’intero decreto. In questo caso alcuni senatori potrebbero uscire dall’aula. La lista comprenderebbe – a oggi – quattro esponenti di Leu (De Petris, Errani, Laforgia, e Grasso), tre ex 5s (Nugnes, De Falco, Fattori) e quattro dem (Verducci, Nannicini, D’Arienzo e Valente). Gruppo piccolo ma, in caso di voto negativo, più che sufficiente per far mancare i voti al provvedimento. L’uscita dall’aula eviterebbe però di rendere indispensabile il soccorso azzurro.
Ma per Conte, e per il Pd, lo scenario peggiore sarebbe il secondo, il voto punto per punto. In questo caso LeU e gli ex 5 S voterebbero naturalmente contro gli aiuti alla Libia e la spaccatura nel Pd sarebbe molto più evidente, mentre non solo Forza Italia, ma forse anche Lega e Fratelli d’Italia voterebbero sì sia perché convinti che la Libia rappresenti un argine agli sbarchi, sia e soprattutto per mettere ancor più in difficoltà il governo.

EVITARE CHE TUTTO ciò si trasformi in realtà è il problema che ieri ha tenuto banco al Nazareno e tra i senatori dem. «Il Pd chiede a gran voce un ruolo da protagonista per l’Italia in Medio Oriente e in Libia con l’obiettivo di difendere i diritti umani», aveva assicurato Zingaretti nella direzione dello scorso 26 giugno. Oggi all’ora di pranzo l’assemblea dei senatori dem cercherà di trovare una linea comune. Ma è una missione impossibile perché, spiega Francesco Verducci, «io non sono in dissenso con la linea del Pd, è il mio gruppo che vuole rovesciare la posizione votata all’unanimità dall’assemblea nazionale di febbraio sul no alla prosecuzione dei finanziamenti alla guardia costiera libica».
UNA POSSIBILE VIA D’USCITA potrebbe offrirla la riscrittura, per ora solo a parole, del Memorandum Italia-Libia con cui Tripoli si impegna a garantire il rispetto dei diritti umani nei centri di detenzione dei migranti. Poca roba, e poco credibile per un paese che non applica la convenzione di Ginevra sul rispetto dei diritti dei rifugiati. Ma di questi tempi potrebbe rappresentare un’ancora di salvezza, e non solo per Zingaretti.