Missione compiuta! Stanchi, ma soddisfatti. È questo lo stato d’animo della delegazione che nei giorni scorsi è riuscita ad entrare a Gaza con il Comitato «Per non dimenticare… il diritto al ritorno». Tutto era iniziato con la volontà di rafforzare il lavoro sui diritti dei rifugiati palestinesi, ad iniziare da quello a poter tornare nelle proprie terre di origini. L’idea era quella di allacciare il filo rosso fra i palestinesi che vivono nei campi rifugiati a Gaza e quelli che vivono in Libano.

Non è stato facile arrivare a Gaza. La situazione in Egitto rende l’ingresso nella piccola striscia di terra difficilissimo. Ai motivi di sicurezza – in molte aree del Sinai si combatte una vera e propria guerra – si somma una sorta di vendetta verso Hamas, considerata una costola di quel network internazionale chiamato Fratellanza musulmana e quindi strettamente legata al partito dell‘ex premier Morsi, oggi messo al bando.

Arrivati il 26 dicembre al Cairo per ripartire il giorno dopo verso Gaza vedevamo i giorni trascorrere senza ricevere l’agognato nulla osta delle autorità egiziane. Poi, proprio la notte di Capodanno, è arrivata una telefonata dall’ambasciata italiana: «Avete il permesso»; alle sei del mattino eravamo pronti a partire per la Palestina. Ci siamo accorti durante il tragitto come oggi l’Egitto sia un susseguirsi di posti di blocco, spesso scollegati fra loro, che rendono difficile qualsiasi spostamento: nel nome della sicurezza nazionale troviamo ponti chiusi e militari che ci fermano per ore e ci rimandano indietro. Ci sono voluti due giorni per raggiungere Rafah, porta d’ingresso per Gaza.

Passato il confine l’accoglienza in Palestina è stata straordinaria. Siamo la prima delegazione che entra a Gaza nel 2014, anno internazionale della solidarietà con il popolo palestinese. Ci accorgiamo subito quanto sia sentito il tema del diritto al ritorno in questo lembo di terra. Fin dai primi incontri scopriamo che c’è un altro tema che va a braccetto con il diritto al ritorno: la necessità di una riconciliazione nazionale fra Hamas e Fatah che metta fine «alla vergogna della divisione fra Gaza e Cisgiordania». Ce lo ripetono in ogni incontro, pregandoci di farci portavoce su questo con i due maggiori partiti. Ci riusciremo solo con i rappresentanti di Fatah (almeno a Gaza ben disposti a superare le divisioni), Hamas invece non ci incontrerà, con la motivazione dell’ «agenda affollata» dei suoi leader.

Attraversando Gaza sono ancora evidenti i segni dell’alluvione che ha martoriato la Striscia appena un mese fa: strade dissestate, fango qua e là, mobilia distrutta dalle acque, panni e materassi stesi ad asciugare e case ancora inabitabili…. Bastano poche ore di permanenza a Gaza per capire cosa vuol dire vivere in una prigione a cielo aperto. La prima sensazione che si prova è quella di essere in una isola, poi man mano si acquista coscienza di essere in gabbia. La mancanza di carburanti e di energia ha messo in ginocchio la piccola e fragile economia di Gaza. Con il calare del sole i negozi sono costretti a chiudere, le strade buie si riempiono di piccoli capannelli di uomini che parlano intorno ad improvvisati falò, le case sono fredde per la mancanza del gasolio per i riscaldamenti, gli ascensori bloccati e l’elenco potrebbe proseguire lunghissimo.

Ma l’occupazione israeliana ha risvolti ben più violenti. Ogni mattina dalle finestre del nostro hotel, sul lungomare di Gaza – nell’area che secondo i progetti dell’Anp doveva diventare il fiore all’occhiello del turismo palestinese – assistiamo a scene di «ordinaria pirateria» da parte delle motovedette israeliane che a poche miglia dalla riva impediscono ai pescatori di lavorare sparandogli contro. Inoltre non passa giorno senza che Israele compia bombardamenti «mirati» su Gaza, distruggendo case e uccidendo donne e uomini, spesso giovanissimi, colpevoli solo di voler lavorare la propria terra.

Le difficoltà ad uscire infine hanno rappresentato per noi solo una piccolissima parte di quanto il popolo palestinese subisce quotidianamente. (…) La delegazione «Per non dimenticare.. il diritto al ritorno» ha anche portato aiuti materiali all’ospedale Al Awda che assiste a Gaza la popolazione civile stremata da un assedio criminale e illegale.