Quando l’ultimo ragazzino in viaggio senza genitori mette piede a terra la sedicesima missione della Sea-Watch 3 può dirsi compiuta. Le persone soccorse faranno la quarantena tra la nave Rhapsody e le strutture di accoglienza. L’equipaggio rimarrà 14 giorni in isolamento a bordo. Tra il 26 e il 28 febbraio ha soccorso direttamente 363 persone, di cui oltre un terzo minori, e ne ha messe in sicurezza altre 90 fino all’arrivo della Guardia costiera italiana. Nessuno può dire cosa sarebbe accaduto a tutti loro senza la nave umanitaria, quanti sarebbero annegati o morti di stenti su gommoni e barche di legno, quanti ne avrebbe intercettati la cosiddetta «guardia costiera libica» per riportarli con la forza a Tripoli, nei terribili centri di detenzione.

Quando questa follia collettiva che condanna migliaia e migliaia di persone a perdere la vita in mare o soffrire indicibili violenze nelle prigioni libiche diventerà finalmente una brutta pagina dei libri di storia, e verrà quel momento, sarà più chiaro ciò che è stato permesso. Da un lato resterà chi ha torturato e ucciso e chi ha taciuto e lasciato morire. Dall’altro chi ha rischiato tutto per cambiare le cose.

Dalle Ong del Mediterraneo continua ad arrivare una lezione etica e politica che insegna come non sia mai il momento sbagliato per fare la cosa giusta. Nonostante gli ostacoli e le trappole disseminate dai paesi Ue, nonostante il clima di razzismo e normalizzazione della morte, ragazze e ragazzi da tutta Europa combattono ormai da sette anni per salvare quante più vite è possibile. Un’azione diretta che è allo stesso tempo semplice e complicatissima. Semplice come aiutare uno sconosciuto in pericolo. Complicatissima come mettere in mare una nave, monitorare il Mediterraneo con aerei autorganizzati e rispondere 24 ore su 24 a un telefono raggiunto da disperate richieste di aiuto.

Il soccorso in mare continuerà a essere terreno di scontro. Anche se Matteo Salvini non può chiudere i porti come quando era al Viminale e ha momentaneamente smesso di occuparsi del tema come quando era all’opposizione, il campo rimane minato. Dai partiti del precedente esecutivo non è arrivata una discontinuità sufficiente. Tra l’1 e il 2 marzo, poi, tre procure siciliane hanno: dato notizia di un’inchiesta contro la Mare Jonio; chiuso le indagini sul caso della nave Iuventa; rinviato a giudizio per la Aquarius. Un tempismo perfetto a poche settimane dal ritorno delle destre al governo del paese.

Le Ong non sono la soluzione al dramma del Mediterraneo. Ripetono che vorrebbero smettere di esistere, ma non lo faranno prima che una missione europea di ricerca e soccorso si impegni a evitare nuove stragi in mare. Prima che la Libia sia evacuata da tutti coloro che ci sono rimasti intrappolati. Perché le migrazioni forzate continueranno fino a quando esisterà un sistema economico basato sulla devastazione del pianeta e il saccheggio dei popoli. Fino a quel momento varrà quanto scritto su un adesivo appiccicato nella stanza delle riunioni della Sea-Watch 3: «Menschen rechte. Keine kompromisse». Sui diritti umani, nessun compromesso.