Nella sua ultima comunicazione notificata al Congresso, ieri l’altro, Barack Obama ha precisato i termini del crescente coinvolgimento militare statunitense in Camerun e il ruolo assegnato al contingente di 300 uomini che verrà dispiegato nei prossimi giorni nel paese africano per unirsi alla guerra che l’esercito camerunense conduce contro le milizie islamiste di Boko Haram. Un conflitto che coinvolge anche Niger, Ciad, Benin e soprattutto Nigeria, dove tutto è cominciato e si è sviluppato. L’annuncio statunitense è musica per il governo di Yaoundé, dopo l’ultimo attentato firmato dai jihadisti, domenica scorsa; due donne kamikaze si sono fatte esplodere a Kangaleri, nel nord, causando 9 morti e 30 feriti.

L’offensiva comune per arginare l’espandersi della guerriglia di Boko Haram e il dominio dell’organizzazione su un territorio sempre più vasto, che va dagli stati nigeriani del nord-est alle zone frontaliere dei paesi confinanti, ha dato fin qui esiti altalenanti e negli ultimi tempi è sembrato piuttosto tendere allo stallo, mentre gli attacchi suicidi e le azione di guerriglia tornavano a moltiplicarsi.

Ecco allora che Washington rilancia, inviando truppe e droni a cui sono assegnati compiti di «intelligence aerea, sorveglianza e ricognizione su tutta la regione». I soldati saranno equipaggiati con armi «in grado di garantire la loro protezione» e sono destinati a «non restare oltre il tempo necessario». Dal 2014, a seguito del rapimento delle 200 studentesse di Chibok, militari Usa con analoghe mansioni sono già presenti sul terreno, nel nord est della Nigeria.
La nuova missione (i primi 90 soldati saranno operativi già lunedì, scrive Obama nella lettera) secondo il portavoce della Casa bianca Josh Earnest è «parte di uno sforzo regionale più ampio per fermare l’espansione di Boko Haram e altre organizzazioni estremiste in Africa occidentale».

Sullo sfondo si staglia minacciosa la presunta e temuta saldatura tra lo Stato islamico che combatte in Siria e in Iraq e il Califfato proclamato nelle zone occupate della Nigeria nord-orientale da Boko Haram, che dovrebbe diventarne in qualche modo una “provincia”, adottando il nuovo nome di Iswa: Islamic state in West Africa. Su uno sfondo più ampio, invece, il nuovo interventismo militare di Stati uniti e Francia (vedi le operazioni di Parigi in Mali e nella Repubblica centroafricana), un rumore di stivali sul suolo africano che avanzano con crescente disinvoltura, sembra invece un tentativo disperato di rinverdire vecchi fasti, implementare la war on terror globale e arginare, prima ancora che gli estremismi diffusi (esacerbati spesso dalle politiche delle stesse potenze che ora vorrebbero combatterli), l’avanzata travolgente sul piano economico della Cina, che in Africa e sull’Africa sta investendo come nessun altro.