Miss Marx è Eleanor, la figlia minore del filosofo autore di Das Kapital, cresciuta in stanze stracolme di rivoluzione, libri, pensieri, fumo; da bimba la «sua» frase era: «Sempre avanti!», e nel cuore il padre amatissimo occupava tutto lo spazio. Ma se quell’esistenza poteva sembrare un’avventura – anche nelle privazioni e nella fatica – nonostante l’amore, l’ammirazione, la figura paterna e tutto ciò che gli ruotava intorno non era certo facile da sostenere. Forse anche per questo il film di Susanna Nicchiarelli, Miss Marx – terzo titolo italiano nel concorso della Mostra, in sala il 17 settembre – inizia il giorno del funerale di Karl Marx, il 14 marzo 1893, quasi a suggerire in quella cesura tra un «prima» e un «dopo» un passaggio per la giovane donna, l’inizio di una ricerca personale, di una vita che libera desideri messi da parte perché non sempre sintonizzati con le necessità altrui.
Un conflitto? Forse, o forse in qualche modo persino una ribellione pure se silenziosa, fragile, piena di resistenze e esitazioni, determinata però a costruire e senza tradimenti qualcosa per sé.

PERCHÉ Eleanor l’eredità del padre la fa sua, è lei che insieme a Engels raccoglie i suoi scritti che cerca di riordinarne i libri e gli appunti, anche quando l’intrusione forzata tra le sue cose diventa uno schiaffo di dolore, sono segreti che mai immaginava. Eleanor – o «Tussy» come la chiamano sin da piccolina – fa politica, è dentro al partito comunista, le sue battaglie sono per i diritti delle donne e perché i bambini non vengano sfruttati al lavoro. E poi traduce e scrive per il teatro, Shelley, Flaubert, Casa di bambola, cerca di interpretare anche lì spostando l’attenzione alle donne e al pensiero di classe, coi suoi fogli corre ovunque insieme all’adorato cagnolino, non ha compagni, si occupa del figlio della sorella morta. Però non è un biopic questo di Nicchiarelli proprio come non lo era il precedente Nico, 1988. La ragazza coi capelli rossi che ne è protagonista (bravissima Romola Garai) e che somiglia a altri suoi personaggi femminili – e pure un po’ alla regista – suggerisce piuttosto un’immagine di donna o una lettura della figura che ne è ispirazione fuori dal tempo, universale e perciò contemporanea, che alla verosimiglianza preferisce la ricerca delle correnti emozionali, le contraddizioni che ci appartengono, la materia del vissuto, la politica e la sua pratica.

A CAMBIARE tutto per la giovane donna arriva l’amore, l’incontro con Edward Aveling (Patrick Kennedy): è forte, totalizzante, per lui è pronta a sfidare chi ama, e persino il partito. Anche Edward è un militante ma nell’ambiente è guardato con poca considerazione, è pieno di debiti, gli piace troppo bere e fumare l’oppio, insomma è quasi un «hippy« che mal si accorda coi comunisti «puri». E poi che vivano insieme senza sposarsi – lui è stato già sposato – non va tanto bene, siamo nell’Ottocento ma il Pci non sarà nemmeno negli anni a venire tanto duttile, almeno se pensiamo all’Italia, la relazione Togliatti/Iotti insegna.
È o lo diventerà anche uno che se ne approfitta, pure di lei, dei suoi amici, dei famigliari, Tussy lo ama, perdona, comprende, è felice di quella loro intimità, degli scambi, del lavoro comune. Gli anni passano, col mondo muta anche la loro relazione, accade lo sappiamo, non sempre, anzi di rado ci si incastra tra i sentimenti e il tempo. Edward sparisce sempre più di frequente, cerca ragazze giovani che Eleanor trova persino davanti alla porta di casa, accumula nuovi debiti che non riescono a pagare più, ne umilia i sentimenti. Come è possibile che lo accetti proprio lei, una delle voci più limpide per i diritti, per il rispetto specialmente delle donne nella società? E intanto la lotta politica pone nuovi interrogativi, a cominciare dalla miseria, dai poveri che affollano i quartieri invisibili della sua città, Londra, che sembrano disposti a tutto per sopravvivere, chr vogliono far lavorare i figli perché c’è bisogno e la guardano male invece di essere felici quando lei cercando di opporsi a questo. Mentre più di qualcuno dei compagni abbandona e si ritira in campagna, le certezze teoriche sul futuro non sembrano riuscire a rispondere alla realtà.
Nicchiarelli va in più direzioni, rimanendo sempre accanto al suo personaggio quasi che la sua intimità, più suggerita che spiegata, si faccia narrazione del mondo. Passato e presente scorrono l’uno nell’altro, fluidi, a specchio – e non solo per i costumi d’epoca che si mescolano alle musiche contemporanee. Siamo dentro alla Storia dell’utopia, della sinistra, delle battaglie politiche e intime, collettive e alla prima persona che non si possono separare perché le incongruenze sono, appunto, nel vivere.

E TUTTO questo con le domande della realtà attuali affiora nel personaggio – il film lo ha scritto Nicchiarelli – e nelle sue traiettorie che ci dicono insieme del quotidiano dell’amore, della sorpresa un po’ spiazzante dei capelli bianchi, della distanza tra la politica e i suoi soggetti. Vale anche per il cinema, per la materia di un film la cui ricchezza è l’orizzonte aperto di ricerca e di accordi emozionali. Quelli che percorre con delicatezza e empatia la regia di Nicchiarelli con il suo personaggio che azzarda, si ritrae, si getta a capofitto, è letterario fino al melodramma e insieme vivo e attuale. Come il cinema che abita.