Il paese deprivato e allungato che Marco Revelli ha raccontato nel 2011 in Poveri, noi sta precipitando su un piano inclinato che lo ha portato sull’orlo di una catastrofe sociale. Secondo l’Istat a distanza di un anno, nel 2012, si contavano 9,5 milioni di persone in povertà relativa e 4,8 milioni in povertà assoluta. Le prime sono passate dal 13,6% della popolazione (nel 2011) al 15,8%, mentre le seconde dal 5,7% all’8%, una percentuale record dal 2005, anno di inizio delle rilevazioni da parte dell’Istituto nazionale di statistica.

Il totale di 14,3 milioni di «poveri», tra relativi e assoluti, già spezza il fiato, ma sono i redditi di entrambi i gruppi a destare maggiore impressione. Per l’Istat una famiglia composta da due componenti è «relativamente» povera quando percepisce un reddito pari a 990,88 euro mensili, in diminuzione di circa 20 euro rispetto al 2011. Quanto al reddito che riguarda i «poveri assoluti» viene calcolato in base ad una capacità di spesa per i consumi inferiori o pari a 806,78 euro mensili nel caso in cui risiedano in una grande città del Nord, di 723,99 euro se risiedono in un piccolo centro sempre del Nord e di 537,29 se risiedono in centro analogo del Sud. Nel 2012 le famiglie povere «assolute» erano 1 milione e 725 mila, il 6,8% delle famiglie residenti, per un totale di 4 milioni e 814 mila individui, l’8% dell’intera popolazione. Quasi la metà di queste persone, 2 milioni 347mila, risiedono nel Mezzogiorno e in un anno sono aumentate di quasi mezzo milione. L’anno precedente erano un milione e 828mila.

L’aumento di questo tipo di povertà è avvenuto a Nord (+1,8%) e a Sud (+1,6%) e di un punto percentuale nel Centro. Questa situazione è distribuita sull’intero territorio nazionale: nel Nord è passata dal 4,9% nel 2012 al 6,2%, dal 6,4% al 7,1% nel Centro e dal 23,3 al 26,2% nel Mezzogiorno. La povertà «assoluta» aumenta tra le famiglie di operai (dal 7,5% al 9,4%), i lavoratori in proprio o autonomi (dal 4,2% al 6%), degli impiegati e dei dirigenti (dall’1,3% al 2,6%) e dove i redditi da lavori si associano a redditi da pensione (dal 3,6% al 5,3%). I dati dell’Istat sono aggregati e associano indicatori che riguardano luoghi e situazioni anche molto diversi tra loro. Anche se riflettono un oggettivo peggioramento della condizione socio-economica degli italiani nell’anno in cui al governo c’erano i «tecnici» di Monti, è molto probabile che la fotografia reale della povertà sia peggiore.

Il capitolo più interessante del report dell’Istat riguarda le cosiddette «povertà occulte», quelle che hanno colpito le famiglie che fino a due anni fa avevano due redditi da lavoro dipendente e, a causa della crisi, ne hanno perso uno o entrambi. Si parla di almeno 700 mila nuclei la cui spesa per consumi nel 2012 era molto vicina alla linea di povertà. In una manciata di mesi è cambiata la percezione del «benessere» tra chi ha un livello di istruzione medio alto e un lavoro, anche di elevato livello professionale, prerogative che oggi non garantiscono dal rischio di cadere nella povertà assoluta, soprattutto quando uno dei membri della famiglia perde l’occupazione. Il drastico abbassamento del tenore di vita da parte di questo «basso ceto medio», che ha numeri di tutto rispetto nella distribuzione dei redditi, è una delle ragioni della diminuzione dei consumi (-4,3% nel 2012) e dei mutui. In questo panorama resistono solo gli anziani soli perché, secondo l’Istat, le pensioni sono redditi garantiti e le più basse sono parametrate all’inflazione.

Ieri l’impatto dei dati Istat è stato enorme. Sono intervenuti da Confcommercio alla Confederazione degli agricoltori, Acli, Caritas e Save the Children fino allo Spi-Cgil. Dal canto suo il governo ha assicurato che nel Dl fare esiste un fondo di oltre 200 milioni di euro per alleviare la povertà di 220 mila persone. Non dev’essere questa la soluzione per don Luigi Ciotti (Libera, che insieme al gruppo Abele promuove la campagna «Miseria Ladra»): «Nessuno ha la ricetta in tasca per risolvere questa situazione – ha detto – ma la politica esca dai tatticismi e dalle spartizioni di potere e si lasci guidare dai bisogni delle persone».