«Non c’è un posto per un film che cerca di comprendere Yigal Amir (l’assassino del primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, ndr) o le sue motivazioni. O che suggerisca il coinvolgimento di altri dietro il suo gesto odioso». Sono le parole, riportate da «The Times of Israel», della ministra della cultura israeliana Miri Regev a commento della vittoria di Incitement di Yaron Zilberman alla più importante cerimonia cinematografica di Israele, gli Ophir Awards, e la sua conseguente candidatura all’Oscar in rappresentanza del Paese.

L’ATTACCO della Ministra – già promotrice di una legge censoria che mira a tagliare i contributi alle opere culturali che «contravvengono ai principi dello Stato» – è dovuto al fatto che il film di Zilberman (che ha di recente debuttato al Festival di Toronto), oltre a raccontare due anni nella vita dell’assassino di Rabin – fino all’omicidio del 1995 – lo inserisce nel clima generale di odio e rancore fomentati nei confronti del Primo ministro per aver firmato gli accordi di Oslo – l’«istigazione» di cui parla il titolo del film e del quale è stato ripetutamente accusato anche l’allora leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu, che insieme ad altri membri del Likud aveva definito Rabin un «traditore», «assassino» e «nazista» .

Eppure secondo Regev quella raccontata da Incitement sarebbe una «distorsione della realtà e un tentativo di trarre in inganno il pubblico» ai danni dell’attuale Primo ministro israeliano: «I creatori del film non si sono fatti sfuggire l’opportunità di assegnare al Primo ministro Netanyahu un ruolo nella campagna di istigazione».
Regev ha anche ammesso di non aver visto il film di Zilberman, così come non aveva visto il candidato all’Oscar e vincitore degli Ophir Awards del 2017 – Foxtrot di Samuel Maoz (Gran premio della giuria a Venezia 74) – che pure accusò di dare una rappresentazione «distorta» e ingiusta dell’esercito israeliano.

RITIRANDO il premio Zilberman ha definito Rabin «un gigante assassinato nella lotta per la pace» e ha detto di augurarsi che le recenti elezioni in Israele rappresentino l’inizio di «una nuova era in cui i leader possano unirci anziché istigarci e dividerci».