Per molti aspetti Mirella Freni, il grande soprano modenese scomparso nella sua città due giorni fa, ha incarnato i caratteri del soprano lirico italiano in modo così perfetto da trasformarsi proprio per questo motivo in un’eccezione pressoché irripetibile. Oggi che non c’è più agli appassionati, a chi l’ha ascoltata dal vivo e a chi la scoprirà domani, il pubblico che oggi ha sterminate ore di musica a portata di click e di social, rimane soprattutto la freschezza di una voce sempre giovane, un carattere che l’ha resa indispensabile nei teatri di tutto il mondo a direttori come Kleiber, Abbado, Sinopoli, Muti e soprattutto al più ossessionato della perfezione del suono, Herbert von Karajan, con cui ha firmato pagine pucciniane e verdiane che non diremo definitive perché un po’ di speranza nel futuro va conservata.

UNA VOCALITA’ emiliana morbida, piena e luminosa, caratteri quasi speculari a quelli dell’amico di una vita e partner di tante recite, Luciano Pavarotti. La tecnica era impeccabile, rigorosa, con una coscienza dell’uso del proprio strumento fortificata dallo studio con maestri italiani, Bertazzioni e Campogalliani, ma anche con il primo marito Leone Magiera: voce perfetta per Mozart come per le parti liriche di Puccini (invece Tosca e Butterfly mai in scena, solo in dischi quasi sovrapponibili per qualità canore ma diversissimi per interpretazione), per il Verdi di Otello, Falstaff, poi Simon Boccanegra e Don Carlo.
Ha detto la sua anche nel belcanto: tolta la raggiante Adina nell’Elisir, non vanno dimenticate la Matilde rossiniana e l’Elvira di Bellini, ma il repertorio ha sfiorato anche l’antico, sin da quell’Alcina di Handel dove compare al cospetto del mito Joan Sutherland. Una voce dalla longevità sbalorditiva, mantenuta sana grazie a prudenza, buonsenso e alla fedeltà alla massima di non accettare alcuna parte per cui non si sentisse pronta e convinta.

COSI’ per Aida ci fu una sola occasione oltre al disco, mentre resta esemplare il taglio sognante ma corposo offerto al repertorio francese, da Micaela, ruolo del cuore secondo solo a Mimì, a Marguerite, Manon, perfino Mirelle. L’incontro con Nicolaij Ghiaurov, basso leggendario, le ha schiuso anche le porte per i tre Caikovskij in cui ha lasciato il segno: Evgenij Onegin, la Dama di Picche e più tardi la Pulzella di Orleans. Come interprete era appassionata e naturale, la voce appoggiata sulla parola senza altra sofisticazione che l’attenzione al dettato musicale. Anche per questo dunque antidiva, niente misteri, rarissimi sconfinamenti in ambiti mitteleuropei, poco glamour e tanta sostanza, una fama planetaria vissuta con poco jetset e più pastasciutte con il cast, perfino a Salisburgo.
Anche come docente pare fosse pratica al punto di apparire severa, badando al risultato e alla fatica che serve a raggiungerlo. Tratti poco in linea con «divine» liberty come Fedora e Adriana, frequentate a fine carriera, ma anche in quel caso fu fedele a sé stessa. Dietro alle ricche vesti di scena c’erano la voce di Mirella e l’eterna giovinezza di una ragazza di Modena.